martedì 3 settembre 2019

Quel che voglio.

Stanotte/mattina mentre mi aggiravo per una Milano deserta, schivando il piscio dei barboni, ho avuto uno di quei rari momenti di epifania che decompongono la realtà che ti sei costruito.

Sono le 5.30, fa meno freddo di quello che pensavo, come al solito sono tremendamente in anticipo per dare spazio alle mie ansie e quel treno di sicuro non sfuggirà: però che fai, non ti presenti mezz'ora prima solo per fissare il vuoto e aspettare che il tempo passi?

Sono da solo. Cammino, esploro, girovago, sempre da solo. Le mie traiettorie sono sicure, calcolate e finiscono sempre dove iniziano. 1 anno fa partivo verso il nulla, in cerca di solitudine e ho scoperto che me la portavo dentro da parecchio tempo. Il grigiore di Milano mi ha aiutato a realizzare che alla fine è tutto qui. Non c'è nessuno al mio fianco, sono un pezzo di sughero che galleggia in uno stagno e trascinato dalle correnti finisce sempre per ritornare sul punto di partenza.

Ci sono momenti in cui vorrei piangere. Fermarmi un attimo e chiedere scusa. Scusa! Ma poi, di cosa? Ma soprattutto, a chi?
Alla soglia dei 30anni quanto vorrei che ci fosse altro nella vita, che la mia traiettoria fosse diversa, che tutto quanto si potesse risolvere in un"vedrai devi solo crescere, conoscere, cambiare... tempo al tempo". So che tutto questo non succederà mai.


A volte sono stanco, distrutto, devastato. A volte... a volte.

" Il primo adesso: il momento in cui sto scrivendo il testo sul mio blocco da disegno, seduto in sala passeggeri a Roma Termini, aspetto un cambio di sei ore. Sono le 12 e 47 del primo maggio 2010. Sono da solo, vorrei non esserlo, e per questo lo sto scrivendo, [...]"

Continuo a cercare una via di fuga, a vivere metafore, creare una nuova realtà. Assorbo qualsiasi cosa nella speranza che arricchisca le mie voragini: le mie liste infinite sono tentativi di sopprimere il caos di emozioni mai comprese.
Retorica o meno, sento il peso degli anni. Per quello che si è accumulato prima, ma anche per quello che viene dopo: la vecchiaia. Il dopo, mi spaventa.

"Staring down the hole again
Hands are on my back again
Surviving is my only friend
Terrified of what may come"
Quando non mi rimarrà neanche la memoria? Quando non ci saranno più punti di riferimento? Continuerò a vagare? Cosa posso pretendere, qual è il mio destino?
Vorrei solo...
"Queste campane della catastrofe
L’incubo più incubato di questa vita
insopportabilmente corta, insopportabilmente lunga
che è poi lo stesso che è poi lo stesso
"
Non ho lasciato spazio per nulla che si estenda oltre al mio Io, ma al tempo stesso non sono stato ingrado di creare niente. Milano è grigia, Milano è nostalgia, Milano è necessaria. E io? Torno indietro, intanto vago...

lunedì 8 ottobre 2018

Die Welt is fort, ich muß dich tragen

Per la prima volta ho visto la solitudine. Neanche la Francia era riuscita a farmi sentire così tanto solo. Te ne sei andata senza dire nulla e volevo solo dirti addio, ma forse è troppo tardi per un ultimo saluto. Te lo vorrei dire adesso, proprio perché è impossibile. Sono uno sciocco che si sveglia sempre un attimo in ritardo e che vorrebbe mettere delle pezze su dei buchi che sono voragini. Hai spalancato la porta verso il punto di non ritorno, quello più triste di tutti. La consapevolezza che non tutte le interruzioni sono recuperabili, e che inevitabilmente arriva l'Interruzione finale, quella che non aspetta nessuno.Vorrei che certe cose non finissero mai. Vorrei che la sicurezza dei miei ricordi si traducesse in un presente invariabile. Vorrei che tutte le persone che ho perso lasciassero sempre uno spiraglio per un ritorno.
Vorrei non abbandonare nessuno.
È questo essere bambini? "Altri 5 minuti, ti prego"

The years, they passed
And so, did we


Se c'è una cosa che ora sono costretto a guardare è l'insensatezza della nostra vita. Quanto siamo piccoli e minuscoli. Cerchiamo di fissare l'universo secondo i nostri punti di riferimento ma è tutto inutile. Non siamo il centro di nulla, siamo solo di passaggio ed è probabile che nessuno se ne sia accorto. Non c'è una giustizia, non c'è un disegno non c'è nulla solo un grande buio verso cui ci affacciamo.
Malgrado tutto la vita va avanti. Sarà tutto più triste, e chissà il tempo forse mi farà dimenticare tutto questo. Certe cose non le vorrei mai perdere, ma come fare se un giorno io stesso sarò nulla?
C'è un momento in cui accadono le cose e non si torna più indietro. La cosa bella è che quel momento diventa il netto spartiacque dei nostri giorni, ma è irraggiungibile e come ogni avvenimento è perso per sempre nel passato. Ci siamo noi con i nostri ricordi, un piccolo appiglio scivoloso.

But I look at you
As our second drinks arrive
The piano player's playing "This Must Be the Place"
And it's a miracle to be alive
One more time
There's nothing to fear

Mi pentirò per sempre di tutte le cose che non ho fatto, del tempo che mi sono lasciato scorrere addosso, delle giornate buttate mentre mi trascinavo fino a sera, i giorni bui, la tristezza, il voler allontanare tutti quanti.

Lo so mi sbaglio se mi incaglio nelle rocce ormai sommerse, nell'assenza di radici o in tutte le altre cose perse, nell'esilio dagli amici, nei miei vortici a spirale che trascinano anche me nel gorgo della solitudine stellare...

Credevo di essere fermo e risoluto, trovavo nella mia determinazione la risposta a tutto il caos che ci circonda. “Non ci riesco? Bene farò così finché non sorprenderò tutti” “C'è un muro? Bene ci girerò intorno, e se è una muraglia la scalerò, e se è alto più di un grattacielo lo prenderò a pugni finché le mie mani spezzate non apriranno un varco tra i mattoni perché devo farcela, perché è il mio obiettivo”.
È così che ho corso le maratone. È così che ho modificato il mo fisico. È così che sono andato avanti senza mai voltarmi indietro.
Ma ora sono costretto a fermarmi e inizia a fare freddo.

You left my heart in some cold dark place
Where your love grows on a vine and I see it all the time
I didn't mean a word that I said
When I was lying to your face about being alone

 

Odierò per sempre la vita, così come quando morì Guinness. Il sentimento non cambia, va solo rinfrescato. Odierò un po' di meno me stesso e tutte le occasioni perse, per la sufficienza con cui tratto le persone, per la presunzione che mi fa riportare tutto quanto a me. Invece di dire semplicemente addio, devo concentrarmi sui miei desideri, sulle mie sensazioni, sulle mie continue delusioni.

Con te finisce definitivamente un'era. A cui sono particolarmente legato, che mi ha visto crescere e che mi ha reso adulto. La verità? Era tutto finito già da un bel pezzo, ma ora ci hai messo definitivamente un punto sopra.
Proprio te che non mi hai mai dato la sensazione di essere vicino alla fine, anzi mi avevi viziato nel vederti così male e pensavo fosse ormai una condizione stabile, quasi una cosa normale. Non ti sei mai arresa e tanto per cambiare, non mi ci hai fatto capire proprio un cazzo: forse una persona meno presa da se stessa sarebbe riuscita a vedere quello che il fisico palesava in modo così netto. E sì sono incazzato perché mi hai protetto ancora una volta, mi sei venuta accanto e mi hai fissato emettendo la tonica che non riuscivo mai a prendere perché ero una frana. Ma te, eri la migliore delle maestre possibili. E ti ho visto sempre come 100 anni più avanti di me, più brava, più grande, più donna: saresti stata una grandissima mamma lo so, perché di figli ne hai lasciati parecchi.


Sarei voluto esserci per un ultimo saluto. Lo sai sono una frana, ma mi vuoi bene per questo.
Grazie per aver creduto in me, grazie per avermi fatto sentire meno solo in questo percorso difficilissimo.

Mi mancherai,
ciao.


mercoledì 25 gennaio 2017

Del tempo che passa, della musica che resta.


Sta per accadere di nuovo. Ormai tutti i punti sono uniti è facile vedere il disegno. La Malora è pronta a spazzare via tutto quanto. Questa volta è un alieno caduto dal cielo che si è schiantato in uno studio di registrazione con l'intenzione di ingannarci... Nuovamente. E questo strano essere non crea nessun nuovo spazio, allarga semplicemente il campo dentro quale ci ha fatto giocare. Siamo entrati nell'intimità di Father John Misty, o quella che credevamo tale. Non è un segreto: l'album definitivo sull'amore è un grandissimo scherzo, una presa in giro fatta su misura. Non esistono sentimenti universali, veramente crediamo di poter condividere qualcosa di più essenziale di un mare di nozioni?



Tutto il castello di illusioni crollava davanti a una risata preregistrata all'apice dell'emotività. È tutto così finto, una barzelletta – Pure Comedy. E alla fine non serviva neanche più il contenuto per sentirsi parte di qualcosa, sentirsi amati e desiderati allo stesso tempo, e pensare che quelle note fossero suonate per noi. No, potevamo farci dire così spudoratamente “Insert here a sentiment re: our golden years” e prendere tutto per buono, per capire cosa significasse avere qualcuno accanto. Nella falsa intimità di Josh Tillman ci siamo persi, immersi e abbiamo nuotato fino allo sfinimento. Interrotta la magia (quanto può durare? Un disco intero ripetuto all'infinito o forse poco più di un attimo), non c'era più una riva su cui approdare. Ci siamo consumati in una musica che prometteva l'eternità, ma non ha fatto altro che far passare il tempo.



Il nuovo film di FJM è abissale, è la dose che ogni tossicodipendente brama con tutto se stesso, pronto a ricadere nella dipendenza. Falsa intimità, è tutto così perfetto da trascinarci lì dentro senza il minimo sforzo. Siamo con te, dentro di te, in questa forzata naturalezza dove parli di vita, musica, disegni, crei, dirigi, scherzi. Pure comedy sarà un album epocale sull'insensatezza dell'esistenza, sul guardare altrove. Sulla vita che ci sfugge e sul nostro istinto di sopravvivenza. Credo che in definitiva sia questa la strada di Josh Tillman. È già morto, ha trascinato con sé l'effimero di una città/nazione nell'impatto devastante del Big One (Malora/Aenima/Comedy), ha vissuto solo per dirci che nonostante tutto lui rimarrà. Ci ha portato per mano per un periodo indefinibile della nostra esistenza, sotto di lui ci siamo conosciuti e allontanati, ha accompagnato questo insensato turbinio di sentimenti e nevrosi nascondendoci il fatto che già sapeva come sarebbe andata a finire.



È stato spaventoso, a tratti divertente, a saperlo prima forse ci saremmo comportati in modo diverso.



Il film è da vedere per sentirsi di nuovo a casa, per guardare al passato quanto basta per frasi sfuggire il presente. Pure Comedy è già uscito, io l'ho consumato e non credo di essere soddisfatto. Perché l'ho amato alla follia e nel momento di maggior bisogno non è più stato in grado di fornirmi l'euforia che prometteva. Rimane una città in fiamme, una musica sbilenca manipolata senza il minimo tatto, il ricordo di qualcosa che non c'è più e la vita tuttavia... va avanti.



Ora che sappiamo tutto, politica, religione, affanni umani, vogliamo di più. In realtà qualcosa di meno, una conoscenza mutilata in modo da poter ripercorrere gli stessi errori, le stesse scoperte, rivedere le stesse persone anche se consapevolmente condannati al disfacimento di tutto quanto.

Alla fine si perde, non rimane nulla ma daremmo via tutto solo per un altro giro. Un altro disco. Un'altra vita.

sabato 12 novembre 2016

Di come vincerò anche questa sfida.

Ho bisogno di attingere di nuovo a quel motore, a quella spinta distruttiva che annienta ogni sforzo di ricomposizione. L'odio, fuoco che brucia, potenza senza controllo. Per sopravvivere a quest'ultima sfida dovrò riaprire la crepa nella mia coscienza, il foro nelle cose, il punto di non ritorno che crea una discrepanza senza fine. Le cose esistono ben prima della loro scoperta, bisogna solo trovare la giusta rappresentazione per metterle in atto. So cosa significhi Zur en Ahhr, e ora capisco perché ci sarà sempre un Babadook da nutrire in silenzio, nel cuore della nostra casa. Il problema è che volontariamente scelgo di ridare spazio a questa voragine, di annullarmi nei pensieri che ho imparato a schivare e seppellire. Ancora una volta prenderò tutto il negativo, ne verrò divorato e sputerò fuori una forza disumana e disintegrante. Questo perché devo oltrepassare il mio limite di sopportazione, mai come prima, ora che so che il mio fisico è indietro di parecchio e la mia testa non è più disposta a combattere. Saranno dei giorni impossibili che culmineranno in un dolore lancinante. Tutto per ripartire da capo.
E riuscirò a tornare indietro? Ho visto fiumi di energia disperdersi nel nulla, in una corsa senza meta, perché l'odio è l'illusione della creatività, non si può immagazzinare nulla e va tutto sacrificato a questo grandissimo incendio che pretende sempre più combustibile.
Ma proprio per questo, mi sono ripromesso di non aver più paura, che niente mi avrebbe più fermato perché so che la mia volontà è senza limiti. So cosa significhi toccare il fondo, e so cosa sia il fallimento. Bisogna perdersi per poter ritrovare la via d'uscita. È un processo senza fine, quante volte ancora dovrò piegarmi in due, sentirmi spezzato, pregare per la fine, eppure scelgo di accettare tutto questo. Richiamo i tuoi fantasmi che mi uccidono in ogni momento di distrazione, vivo con la tua ombra che mi soffoca ogni volta che trovo un nuovo spazio. Decido di combattere contro questi mulini a vento per richiamare una produttività infinita.
Ho trovato un nuovo modo di urlare “REMARE, FALLIRE, REMARE”, e me l'ha detto un cigno morente mascherato da donna insanguinata. 

DEEP ROOTS ARE NOT REACHED BY FROST

Ormai sei il freddo della mia vita, la morte del sentimento. Un vento gelido che devasta i campi, uccide i fiori ed annulla qualsiasi tentativo di rinascita. Ma le stagioni passano e ci sono radici che non hai mai visto, solo intuito. E per questo hai paura, perché non potrai mai uscire vincitore con chi ha imparato a perdere tutto e a vivere nella consapevolezza dei propri limiti solo per poterli trascendere.
Siamo rari, ma sappiamo riconoscerci anche da distanze siderali. Gente così, per quanto legata, confusa, impacciata, prima o poi capirà il suo potenziale. O meglio, troverà la strada di esprimerlo: quel dolore immondo, il fuoco dietro ai nostri occhi, la voglia di distruggere tutto. E allora giungerà il momento di lasciare tutti indietro.

Stanotte ho sognato un paese straniero. Una donna stava per fare sesso in pubblico e, poco prima dell'atto, le forze dell'ordine le davano fuoco. Un urlo così non lo avevo mai sentito. Una volta spento il suo corpo ci sono almeno tre fazioni di ragazzi disposti in linea, pronti a mettere sottosopra la città. Lo scontro è imminente, mi accodo: non potrò ritardare l'esplosione di violenza. Non sono pronto, ma in fondo quando lo sono mai stato?

Siamo giunti nuovamente all'impatto imminente della Malora, e ora so che il mondo finisce in ogni istante. La fine non è affatto un evento irripetibile e determinato, ma una costante della nostra realtà, teleologicamente proiettata verso un punto non troppo distante: il continuo fallimento.

Non vorrei, ma posso richiamarti solo nel disgusto, nella rabbia, nella delusione. Questo è quello che rimane, il resto è un ricordo sbiadito.

 

lunedì 5 settembre 2016

Sogni [2.5] - L’ennesima immagine di un addio imperfetto.

Questa volta è un saluto, l’ultimo brindisi. Sì, è tutto finito. Non c’è più nulla da fare se non aspettare la fine (del mondo, come lo conosciamo). Usciamo fuori in cerca di qualcosa per onorare quest’ultima promessa, ma la notte è uno spettacolo desolato. Potremmo vagare all’infinito per fingere di poter continuare e rimandare così quell’attimo (il finale) sempre un po’ più in la. Le strade sporche, sfatte, sono popolate solo da spazzini e operai che smontano impalcature: non troveremo mai quello che stiamo cercando. Qualcosa di importante deve essere finito, penso ad un avvenimento unico. Eppure il dubbio che mi pervade è che questo spettacolo sia ordinaria amministrazione, non sono mai uscito a quest’ora e non riconosco le strade: per un attimo perdo la percezione di casa, eppure non mi sono mosso di tanto. Capisco che non sta accadendo nulla: pulizia e rigenerazione avvengono ciclicamente, non c’è niente di straordinario in tutto questo. Nostalgia e impotenza si sovrappongono con crudeltà, realizzo la banalità del mio sentimento.

Guardo il mondo svuotarsi, aspetto il giorno.

domenica 3 luglio 2016

Ho sognato la notte

Ho sognato la notte,

densa, imperscrutabile.
Non è il regno delle ombre,
è la terra dell'assenza.
Qui non accade niente,
e se anche fosse,
non ci sarebbe nessuno
per raccontarlo.

Tutto è amplificato
per non risuonare,
ci si perde subito
nell'immaginarsi
in un mare senza
forma.

Rimpiangerai la luce,
nel tentativo di dare
continuità
al tuo pensiero
più oscuro.


E se un giorno ci incontrassimo?


Non è un fattore di tempo
gli eventi possono condurre
ovunque, ma non qui.

È un luogo che portiamo dentro,
inevitabile quanto
incomprensibile.
E se siamo destinati alla
desolazione più totale,
dovremmo nascere pronti
per affrontare tutto questo.

Non aspettarti consigli,
ma solo qualche
lacrima,
un racconto confuso.
È tutto quello che
posso darti.

Nel risveglio,
qualcosa rimane.

lunedì 18 aprile 2016

Il canto di Swann: dalla parte del fallimento.


La ricerca è intrisa nel fallimento. L'ho sempre vista come la condensazione in parole di un mondo morente, una cultura destinata al disfacimento. L'ultimo secolo del millennio getta l'umanità in un'agonia ormai palese, i sintomi sono riconoscibili e studiabili, manifestando una consapevolezza necessaria per affrontare il primo passo verso il declino. E Marcel Proust è il titano del suo tempo, un tempo ormai perduto. C'è qualcosa di più ansiogeno di leggere oggi l'abisso esistenziale che permeava la società parigina in tutte le sue violenze, in tutte le sue gerarchie, nel predominio di un pensiero borghese ormai auto-divoratosi allo sfinimento? Proust è l'araldo di un pensiero accademico ed enciclopedico che si fonde paradossalmente con la possibilità dell'irrazionale. Qualcosa di ancora non concreto ma che si affaccia nella coscienza di chi abita un presente così turbolento: ed ecco la non linearità del tempo, l'irripetibilità dell'esperienza, il valore della memoria, la coscienza (non determinata) di un qualcosa interno alla nostra persona che sfugge al nostro controllo. La forma più classica della narrazione, il romanzo, che accoglie l'imprevedibilità della psiche umana, generando un infante deforme: una massa spropositata in un corpo che non accetta le regole della tradizione che vorrebbe seguire. Un tentativo sconclusionato, fallimentare, ma proprio per questo, unico e irripetibile.

Ma la Recherche è anche e soprattutto il fallimento di un uomo incapace di accettare le sue pulsioni. Proust sacrifica la sua persona all'opera, crea un mondo (anzi, un'infinità di mondi) al di fuori del reale per poter vivere ciò che non avrà mai il coraggio di affrontare. Marcel Proust muore dopo 13 anni di scrittura incessante. Da solo, in una stanza ricoperta di sughero per non permettere al più piccolo dei rumori di disturbarlo, completamente isolato dal resto della società. Lasciando così un'opera incompiuta, segna il suo ultimo fallimento: l'aver permesso alla vita di avere la meglio sull'arte.

Entro in gioco io: il mio di fallimento, è quello di non essere riuscito a finire di leggere la Recherche. Sono arrivato abbastanza avanti, verso la fine di Sodoma e Gomorra, ma poi niente, il mio interesse si è spento e non credo che mai finirò di leggere l'opera di Proust. Perché? Non sono un grande lettore e per me leggere è sempre una sfida immensa. Orgoglioso come sono, sento la necessità di pormi dei grandi obiettivi, delle vere e proprie battaglie contro me stesso. Ha funzionato con V. di Pynchon, con la Recherche ho fallito miseramente. Mi dispiace di aver letto distrattamente delle pagine, di aver perso più volte il filo del discorso, di essermi dimenticato dei personaggi per strada. Ma che ci posso fare? Non ce l'ho fatta.

C'è un elemento però che con il tempo, sono riuscito ad imparare su di me. Riesco a ricavare sempre qualcosa da ogni esperienza, anche se in modo imprevedibile e non sistematico. Solitamente sono delle piccole folgorazioni, le covo dentro di me senza neanche accorgermene e un giorno semplicemente... esplodono. Ho sempre avuto paura di non essere in grado di apprezzare le cose, di non avere la sensibilità necessaria per emozionarmi di fronte al bello (ma costa così tanto dire a un ragazzino che non è un problema adorare lo scarto?) e per questo ho spesso cercato di impormi la fruizione, di forzare la metabolizzazione. Per fortuna le cose non funzionano così.

L'assimilazione non è un processo controllabile, al massimo la si può stimolare. C'è un passaggio de Verità e Metodo di Gadamer, che nel suo ossessionarmi non fa altro che confermare la mia natura. Gadamer condanna la cultura museale, quel tipo di sapere estetico legato all'esperienza soggettiva che rimanda necessariamente qualsiasi esperienza artistica al proprio vissuto e all'assimilazione di esso. Spesso mi sento un museo: una bella vetrina di artefatti (esperienze) completamente sradicati dal loro significato che trovano la loro unica ragione di vicinanza nell'essere stati tematicamente accostati dal mio incontro con essi. Mancherò di rispetto verso l'arte, nel mio egoismo, nell'atto vampirico di riconfigurare me e il mondo partendo dall'esperienza di altri? Il problema non è la fruizione, ma limitare tutto quanto al proprio orizzonte rendendo così questo ipotetico dialogo accessibile solo dal mio punto di vista, dal mio esperire. Sarò autistico? Non lo so, sono qui a raccontarvelo , magari una fusione (di orizzonti) non è così utopica...
In ogni caso, Gadamer ha creato una paradossale crepa nelle mie intenzioni è un po' sorrido a pensare che senza Hans, il mio museo non avrebbe mai aperto al pubblico.

Quindi della Recherche mi rimangono impressi momenti ben determinati, completamente scollati tra di loro. Sarebbe troppo semplice citare l'episodio della Madeleine... Della mia battaglia contro Proust, oggi, non posso non pensare all'incredibile parabola amorosa di Charles Swann e del suo oggetto del desiderio, Odette. Incredibile perché non penso che nessun altro autore si sia spinto così tanto nel dettaglio descrivendo le dinamiche perverse e masochiste del desiderio, soprattutto in un periodo dove la loro esistenza poteva essere soltanto intuita e non imbrigliata. Così come Kant, mai uscito da Konigsberg, parlava della meraviglia del pellegrino di fronte alle porte di Roma, così Marcel Proust, assassino del suo desiderio, racchiude una vita di delusioni, di amore e gelosia in un detour quasi accidentale del suo monumentale atlante. C'è un soggetto altro a parlare per Marcel, non potrebbe essere altrimenti, c'è bisogno del distacco per poter penetrare così a fondo.

Il punto è, che io a fondo non posso andare. Non sono qui per fare riassunti, non ne sarei in grado, in primo luogo per la distanza temporale che mi separa dalla lettura di queste pagine: sono ormai un ricordo confuso, rimuginato quanto rimasticato, e sono ormai indissolubilmente legate al mio io. Ma penso alla fine, a quel sogno distorto che segna il termine della disillusione amorosa diventata ormai un calvario. È la dimensione onirica a rimettere a posto le cose: tutta la sofferenza, la gelosia, l'incomprensibile smania di controllo che si impadronisce della nostra ragione proprio quando ci rendiamo conto di non possedere (o non aver mai posseduto?) più nulla, tutto questo svanisce in un brutto sogno. Tutto questo casino, per una donna che non ci era mai interessata.

Aspetto questo sogno, lo scarto definitivo. Il distacco ultimo, dettato dal tempo e da tutto quello che, insieme ad esso, perdiamo inevitabilmente. Il ricordo è un'illusione sbiadita di un passato che continuiamo a modificare, perché è già troppo lontano, perché non è più vita, ma solo memoria.

Continui ad apparirmi in sogno. Quest'ultima volta il nostro addio aveva il carattere di un segreto, custodito con gelosia, ma che per un attimo mi illudeva dovesse ancora giungere. La tristezza di dover ammettere, nel privato, che il mondo era crollato, che avevamo già aperto le porte alla fine e che nonostante le mie richieste, tornare indietro era impossibile, amplificava tremendamente il dolore. Un addio inflitto una seconda volta. Questo è l'ultimo, il ricordo più vivido. Una sofferenza gratuita quanto inutile, a cui continuo ad ancorarmi, per non perderti completamente.

Ma il tempo appiattisce tutto.
Prima o poi verrà quel sogno, e sarò costretto a svegliarmi.