lunedì 23 dicembre 2013

Appunti sul Cinema [3]: Il montaggio nel cinema hollywoodiano classico



Il cinema, in quanto linguaggio, crea la sua grammatica spontaneamente. Le regole che vengono ad imporsi non sono decise a tavolino dai registi che creano un sistema dal nulla, imponendo delle scelte arbitrarie. Il linguaggio che si va formando è tarato sul pubblico, è la sua ricettività a rendere possibile la formulazione di un codice. La complessità narrativa raggiunta dai film americani a partire da metà degli anni '10, impone una maggiore chiarezza nell'esposizione della storia, il dialogo tra pubblico e immagini ha bisogno di nuovi mezzi espressivi. Le regole formali che diventeranno la base del cinema hollywoodiano classico sono il risultato di venti anni di sperimentazione su scala internazionale. L'età classica di Hollywood è dunque la summa di quanto immaginato fino a quel momento, il più ampio dizionario grammaticale del neonato linguaggio filmico.

La continuità narrativa impone che sia chiara la relazione che intercorre tra le varie inquadrature. I registi ravvisarono da subito l'importanza diegetica del montaggio nella costruzione del film. Con il cinema classico hollywoodiano il montaggio si cristallizzò in tre forme principali: il montaggio alternato, il montaggio analitico e il montaggio contiguo.

Montaggio alternato


Con montaggio alternato si intende la successione di inquadrature che mostrano azioni che avvengono in luoghi diversi. I registi dell'epoca si resero conto che alternando in questo modo le scene, il pubblico percepiva come svolti in contemporanea i due momenti separati. L'autore che per primo esplorò le potenzialità di questo tipo di montaggio fu D. W. Griffith, vero e proprio padre del cinema americano classico. Inoltre fu uno dei primi utilizzatori del montaggio parallelo, una variante del montaggio alternato: mentre in quest'ultimo le due azioni confluiscono in una terza, in quello parallelo le due scene non arrivano mai a influenzarsi vicendevolmente.



"Birth of a Nation" di Griffith. Tramite il montaggio alternato il regista ci mostra tre azioni che si svolgono in contemporanea: delle persone sotto assedio, chi cerca di irrompere, e la carica dei "buoni" che si precipitano al salvataggio.


Montaggio analitico


Il montaggio analitico consiste nella suddivisione di uno stesso spazio in più inquadrature. Fornita un'inquadratura totale dello spazio con un campo lungo, lo stacco di montaggio può passare ad un'inquadratura più ravvicinata che mette in primo piano un dettaglio che altrimenti sarebbe passato inosservato. Il montaggio analitico è dunque uno strumento potentissimo per focalizzare l'attenzione dello spettatore.


"Intolerance" sempre di D. W. Griffith ed un esempio di montaggio analitico, con focalizzazione tramite inquadratura ravvicinata di un particolare della scena.



Montaggio contiguo


Il montaggio contiguo nasce dall'esigenza di creare una continuità spaziale tra le inquadrature. Il genere che impose la riflessione su questo problema fu quello dell'inseguimento. Dal 1910 in poi i registi capirono che il modo migliore per creare questa continuità è mantenere costante la direzione del movimento. Così un elemento che percorre orizzontalmente un'inquadratura da sinistra verso destra, nell'inquadratura successiva si ritroverà collocato alla sinistra del quadro e sarà diretto verso destra.
Nel video, una scena di Ong-Bak di Prachya Pinkaew. Notare come tutto l'inseguimento percorra una linea ideale che da la sensazione di continuità tra un'inquadratura all'altra (nel caso, una diagonale che va da in alto a destra a in basso a sinistra). L'esempio, proprio perché recente, dimostra come la codificazione avvenuta cento anni fa sia tutt'oggi valida e non una "lingua morta":





Gli studi sulla continuità spaziale proseguirono prendendo come riferimento il punto di vista dei personaggi. Veniva quindi mostrato prima un personaggio con lo sguardo rivolto fuori campo (cioè fuori dall'inquadratura) e dopo lo stacco veniva mostrato ciò che esso guardava. Se la seconda inquadratura non assume come punto di vista quello del personaggio “osservante” allora uno stacco di questo tipo viene definito “raccordo di sguardo”. Logicamente se il personaggio guarda fuori campo verso destra, nell'inquadratura successiva che mostra l' “osservato” esso sarà fuori campo a sinistra, nel rispetto di un'ideale continuità spaziale tra le immagini.


"Il Gabinetto del Dottor Caligari" di Robert Weine. Esempio di raccordo in soggettiva (leggiamo il diario, fuori campo nella prima inquadratura) dal punto di vista del protagonista.



Ulteriori evoluzioni del raccordo di sguardo, ovvero la regola del campo/controcampo e la regola dei 180°, verranno trattate in seguito in un altro post.

mercoledì 18 dicembre 2013

Appunti sul Cinema [2]: Bazin e il montaggio proibito

Prima di approfondire ulteriormente il pensiero di Ėjzenštejn, vorrei soffermarmi sulla teoria del montaggio proibito proposta da André Bazin nel manuale “Che cos'è il cinema” in particolare nel capitolo nominato “Montaggio Proibito”.

La riflessione di Bazin parte dalla mesa a confronto di due film per bambini. Il primo è “Une fée pas comme les autres” di Jean Tourane e il secondo “Le Ballon Rouge di Albert Lamorisse. Tramite l'analisi di queste due pellicole vuole dimostrare come l'intervento del montaggio non sia sempre necessario, ma anzi, rischi di compromettere la narrativa filmica.




Nel film di Tourane, il montaggio è artificio necessario alla narrazione. L'obiettivo è quello di antropomorfizzare gli animali inquadrati e i loro comportamenti, al fine di renderli attori protagonisti della storia raccontata per immagini. Secondo Bazin il montaggio è il perno ontologico del film tanto che “l'azione apparente e il senso che le si presta non sono praticamente mai preesistiti al film, nemmeno sotto la forma parcellare dei frammenti di scena che costituiscono tradizionalmente le inquadrature”. Così come con “l'effetto Kulešov, è il montaggio (o il pubblico attraverso esso?) a costruire un senso narrativo. Inoltre è importante che non accada veramente il gesto in sé, ma sia creato solo a posteriori dalla sequenza di inquadrature. Se i cani fossero stati ammaestrati in tal modo da saper eseguire determinate prodezze tipiche delle azioni umane, l'attenzione si sarebbe spostata dalla storia alla straordinarietà del gesto in sé.



.
Nel film di Lamorisse il montaggio assume un ruolo ben diverso. Scopo del film è zoomorfizzare un palloncino affinché segua il suo “padrone” come un cane. La dose di finzione è la stessa, ma lo scarto per Bazin è netto: questo film non deve nulla al montaggio. L'illusione deve trovare conferma nella realtà oltre che nel cinema. Per il critico “il fatto è che appunto, al montaggio, il palloncino magico esisterebbe solo sullo schermo, mentre quello di Lamorisse ci rimanda alla realtà.
La specificità del cinema si palesa non più nel montaggio, che anzi appiattirebbe la narrazione ad un qualsiasi altro tipo di testo, ma nella validità dell'immagine in sé. Le parole di Bazin sono molto chiare:

Eppure la stessa storia, per quanto ben filmata, potrebbe avere sullo schermo non più realtà del libro, e questo nell'ipotesi in cui Lamorisse avesse preso il partito di ricorrere alle illusioni del montaggio (o eventualmente del trasparente). Il film diventerebbe allora una narrazione attraverso l'immagine (così come il racconto lo sarebbe attraverso la parola) invece di essere ciò che è, cioè l'immagine di un racconto o anche, se si vuole, un documentario immaginario

Ci affacciamo dunque sul tema centrale della riflessione di Bazin: l'immaginazione del cinema ha necessariamente bisogno della sua dose di realtà. La finzione vive nel suo rimando al reale.

Ciò che importa è solo che si possa dire allo stesso tempo, che la materia prima del film è autentica e che, tuttavia, << è cinema >>. Allora lo schermo riproduce il flusso e il riflusso della nostra immaginazione che si nutre della realtà alla quale progetta di sostituirsi, la favola nasce dall'esperienza che essa trascende.


Crin-Blanc è un altro cortometraggio di Lamorisse preso in esame da Bazin in queste pagine.


La situazione è paradossale: il cinema per essere tale deve essere reale, ma allo stesso tempo consapevole di essere finzione. Il trucco sarà pure invisibile, ma sarà pur sempre cinema. Perché tra i tanti “escamotage” a disposizione del cinema, solo il montaggio rischia di invalidare il rimando a ciò che deve trascendere e mantenere allo stesso tempo? Punto fondamentale è che per Bazin la realtà deve essere preservata nel “semplice rispetto fotografico dell'unità dello spazio”. In questo il critico si dimostra parecchio radicale: “per esempio, non è consentito al regista di aggirare col campo-controcampo la difficoltà di far vedere due aspetti simultanei di un'azione”.
Addirittura arriva ad enunciare una legge estetica “Quando l'essenziale di un avvenimento dipende da una presenza simultanea di due o più fattori dell'azione, il montaggio è proibito”.
Bazin, però, si preoccupa subito di smussare l'intransigenza di questa legge, proponendo la sua applicazione in base a una distinzione dei generi e dello stile. Il montaggio è dunque utilizzabile, ma non nei casi in cui la sua applicazione “trasformerebbe la realtà nella sua semplice rappresentazione immaginaria (attraverso la rottura dell'unità spaziale dell'avvenimento ndr.)”

Se non tanto nella sua applicazione, la teoria di Bazin è sicuramente affascinante e degna di considerazione. Sicuramente può, e deve essere ripensata, alla luce del cinema moderno. Citando di nuovo Bazin:

Se il cinema comico ha trionfato prima di Griffith e del montaggio è perché la maggior parte delle gag dipendevano da una comicità dello spazio, dalla relazione dell'uomo con gli oggetti e col mondo esterno. Chaplin, nel Circo, è effettivamente nella gabbia del leone ed entrambi sono chiusi insieme nella cornice dello schermo.




Al giorno d'oggi, con la sparizione del set e degli attori stessi (si pensi al mediocre, ma pertinente in questo caso, “Avatar o all'ottimo “Gravity) si può ancora parlare di unità spaziale dell'avvenimento? La corniche dello schermo può essere ancora in grado di racchiudere dentro di sé lo spazio dell'immaginario reale?

Ripensare il Classico

Appunti sul cinema [1]: Il Montaggio

Cimentandomi nella riorganizzazione di pensieri di quella che ormai è la mia materia di studio principale, ritorno su questo blog proponendo qualche riflessione sparsa.

Partiamo dall'assunto:

Il cinema è linguaggio


In quanto tale, per poter essere comunicato ha bisogno di una grammatica, di regole e convenzioni che lo rendano condivisibile. Il cinema, ovviamente, non si muove sul terreno della parola, ma su quello dell'immagine. Il fatto che l'apparato grammaticale sia “nascosto” dietro l'apparente indipendenza dell'immagine, non può essere una scusa per non indagare le sue regole. Il cinema ha riflettuto sempre su se stesso, sulle sue possibilità espressive e sui suoi limiti necessari. Nulla nasce per caso, della tecnica umana niente è spontaneo (nel senso di naturale). Un concetto che oggi forse sfugge, incantati (come agli albori del cinema) dalla spettacolarità superficiale dell'immagine.

Il primo aspetto tecnico che vorrei indagare è quello del montaggio. La definizione che ne da André Bazin nel libro “Che cos'è il cinema” cap. “L'evoluzione del linguaggio cinematografico” è molto utile:

“Per << immagine >> intendo, molto genericamente, tutto ciò che alla cosa rappresentata può aggiungere la sua rappresentazione sullo schermo. Si tratta di un rapporto complesso che può però essere sinteticamente ricondotto a due gruppi di fatti: la plasticità dell'immagine e le risorse del montaggio (il quale non è altro che l'organizzazione delle immagini nel tempo).”


André Bazin

Innanzitutto va notato che, la semplice organizzazione delle immagini nel tempo, non è poi così semplice. Il montaggio è un potente mezzo espressivo perché genera il senso. La relazione che si instaura tra le immagini è un qualcosa di nuovo, che esula dai singoli elementi. Uno di quei casi, insomma, dove il tutto va ben oltre la somma delle parti che lo compongono.
I primi ad indagare con metodo le potenzialità espressive del montaggio furono i cineasti sovietici. Famosissimo l'esperimento portato avanti dal regista Lev Vladimirovič Kulešov nel 1918. In cosa consisteva?

Lev Vladimirovič Kulešov


Kulešov prese un primo piano di un attore da un vecchio film dell'epoca zarista. Ivan Il'ič Mozžuchin. Il piano mostrava l'attore in una posa facciale inespressiva. Il regista replicò tre volte (utilizzando gli stessi fotogrammi) il piano dell'attore, ma tra le ripetizioni inserì altri tre piani, tematicamente scollegati tra di loro. Alla faccia sempre uguale di Mozžuchin si alternavano dunque un piatto di minestra, una bambina morta dentro ad una cassa, ed una donna semi-nuda.




La reazione del pubblico alla proiezione del cortometraggio fu imprevedibile (per tutti, tranne che per Kulešov probabilmente). Essi infatti rimasero sbalorditi dalle capacità espressive dell'attore. Nella stessa faccia inespressiva gli spettatori avevano ravvisato emozioni diverse, percependo chiaramente l'appetito dell'attore nel primo caso, un senso di tristezza nel secondo, e infine desiderio nel terzo. Tutti quanti, attribuendo un valore diverso ad una stessa inquadratura ripetuta in momenti diversi, erano stati ingannati dal montaggio operato dal regista. Questo fenomeno prese il nome di "effetto Kulešov". Cosa significa? 


 

Significa che il montaggio suggerisce, lo spettatore integra. La successione delle immagini trasfigura profondamente la percezione che se ne ha di esse, l'intelletto di chi guarda tende alla ricostruzione, a colmare l'informazione non presente tra le due immagini. È come se lo stacco di montaggio, impercepibile fotogramma mancante, fosse un abisso senza fondo al quale lo spettatore pone rimedio tramite un nesso, un vero e proprio ponte, logico e personale allo stesso tempo, costruendo così la via d'accesso a ciò che viene guardato. Si crea così un discorso, un nuovo senso, inscindibile non solo dal susseguirsi delle immagini, ma dall'esperienza dello spettatore.

Gli allievi di Kulešov, primo tra tutti Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, porteranno avanti gli studi del loro maestro. Le incredibili potenzialità espressive del montaggio li porteranno ad affermare che la “specificità filmica”, ovvero ciò che differenzia il testo filmico da qualsiasi altro tipo di narrazione, risiede proprio nel montaggio stesso.


Sergej Michajlovič Ėjzenštejn


Chiudo questa prima breve riflessione con una domanda, che sembra poi essere uno dei centri nodali (mai risolti) della, molto spesso, confusa teoria di Ėjzenštejn: chi genera veramente il senso? Volutamente prima ho parlato di nesso “logico e personale allo stesso tempo” in riferimento allo spettatore. Non è chiaro se il “di più” sia creato da chi guarda (e quindi strettamente personale) o sia logicamente implicito nel succedersi di due immagini. Il regista, o chi per lui, può veicolare il senso interno al montaggio ed anticipare le associazioni di chi guarda? Esiste la libertà dell'interpretazione o siamo schiavi della forma?

lunedì 11 novembre 2013

In the mailbox [10]: Vivo ma non troppo.



Ah la vita.

Quella cosa che accade tra un impegno e l'altro. Se ne farebbe volentieri a meno, ma grazie a Dio (da scrivere rigorosamente maiuscolo) ci sono gli acquisti folli a redimerci da quest'esistenza di mediocrità.

 

Il setting:



Traffic Club, 11 novembre 2013. Vai per accompagnare l'amico che "ommioddio ci sono i The Ocean" che per carità, carini, li hai già visti una volta tot anni fa quando non avevi ancora la barba, di sicuro non fremi per andarli a rivedere, ma che fai, non accompagni chi dice "ommioddio ci sono i gruppox"? Quindi vai e subito capisci che la serata finirà malissimo. Fuori dal locale hanno piazzato un bancomat. Dentro pullulano stand di merchandising vari. Iniziano le danze.

 

La sorpresa:



Dopo un'onesta, quasi dimenticabile, performance dei Tides from nebula, ti ritrovi ad ascoltare il soundcheck di un gruppo di cui non conosci neanche il nome. All'apparenza sembrano un pò dei peracottari fermi agli anni 80. Il check, qualche battuta. Il pubblico sembra particolarmente in atetsa della performance. Ma chi cazzo sono? Parte un conto alla rovescia e poi... e poi cosa dire? Il concerto più folle a cui abbia mai assistito, anche tra i più coinvolgenti. Urla, sax, cacofonie, king crimson, chitarristi volanti e virtuosismi si mescolano sfondando ogni barriera possibile dell'udibile. Un video dirà più di mille parole. Gli Shining, cazzo.




Ascoltateli. Se mai ne avrete la possibilità, fruitene dal vivo.
A concerto finito, prima dell'entrata dei The Ocean, l'acquisto è inevitabile:





"Live BlackJazz" doppio cd + dvd live che trasmette in pieno la carica esplosiva della band. Dopo un'esibizione del genere l'acquisto di materiale Live era la cosa giusta da fare.
Poi entrano i The Ocean, carini, cantante ubriachissimo. Il loro stand è pieno di roba, da boxset ultralussosi a 60 euri (limortè) a vinili di band sconosciute pubblicati sotto la (credo) loro personale etichetta (Pelagian Records). Vengo catturato da questo oggetto, ed è amore a prima vista:





Stupendo artwork. Il vinile in questione è un 10 pollici che contiene 3 singoli estratti dal loro album "Anthropocentric", ovvero "The Grand Inquisitor" I-II-III più la IV parte finora inedita.



Vinile doppio colore, la confezione è più carina di quanto possa sembrare a prima vista. All'interno inoltre un codice per scaricare (solo) la quarta parte in forma digitale.

per coronare la serata compro anche la locandina dell'evento (tanto perchè non avevo speso abbastanza)

"Buona la prima"

Ho sempre rimpianto il fatto che in Italia non ci siano artisti che disegnano le locandine appositamente per ogni concerto/tour. Dove ormai non danno neanche più il biglietto (secondo concerto in un mese dove il massimo che ricevo è un timbro sulla mano) qesta bellissima locandina disegnata da SAVAGEARTWORKS mi è sembrata un validissimo "rimpiazzo".

Fine. Cioè, no. Segnalo l'uscita di ben 2 numeri del "mensile" Duellanti. Per ora sono riuscito a reperire il numero di settembre, il numero 82. Guardate la copertina e...





Compratelo, cazzo.


Fine. Cioè no. Voglio tornare a scrivere qui, la mia casa. Ci sto pensando, non ci sto riuscendo. Ma presto, giuro che, presto...


OUT!

domenica 29 settembre 2013

M.O.B. Project - Ovvero: l'angolino dell'auto-promozione



Segnalo ufficialmente l'inizio di una nuova avventura. Così, giusto per far capire che anche settembre è finito, e l'anno produttivo sta cominciando sul serio. Nella perenne illusione che un pubblico sia presente anche in questa sede, condivido con piacere il primo episodio/backstage/random footage che ritrae me e un mio amico (due terzi di quello che ho deciso ora di chiamare "M.O.B. Project") in sede di registrazione. Dove per "sede" si intende la mia camera da letto attrezzata in malo modo per permetterci di produrre qualcosa musicalmente. 

Il nostro primo sforzo è una cover TOTALE (da cima a fondo) di Carry degli ISIS. 


Brano esemplificativo della ricerca sonora presente nel loro catalogo del gruppo da Oceanic in poi, è nella sua apparente semplicità un complicatissimo stratificarsi di suoni e strumenti che creano una compattezza inarrivabile. Insomma, una grande sfida.

Vorrei che il M.O.B. Project non si limitasse solo però all'aspetto musicale ma comprendesse anche quello visivo. L'intenzione è quella di accompagnare la musica con immagini dedicate interamente girate ed editate da noi. Tutto con il massimo impegno con un intento di professionalità (livello non necessariamente da raggiungere)


A che punto siamo?


Allora, gran parte delle chitarre sono già state registrate e mixate. Inutile dire che il lavoro è stato ben più difficile del previsto, tra scelta dei suoni, mixaggio e divisione delle tracce stesse (abbiamo qualcosa come 4-5 tracce di chtiarra diverse in contemporanea in alcuni momenti).
La batteria verrà direttamente programmata\suonata su un device midi, visto che per ora la possibilità di un live recording di una batteria acustica è fuori dalle nostre capacità.
Mancano ancora basso e voci, da decidere anche come registrarle.


Foto di strumentazione random. In realtà non ho neanche più questa PRS, e per la registrazione è stata usata una Ibanez.



Il video di accompagnamento presenterà TUTTE le parti\tracce suonate dai vari strumenti con la traccia finale come audio di sottofondo. Vista la complessa sovrapposizione stratificazione abbiamo deciso di optare per l'impostazione "playback" che permetterà molto più semplicemente di fornire un quadro completo visivo e un audio ottimale.

Il tutto verrà documentato tramite degli episodi di backstage di cui è già presente l'incredibile Episodio 0 - Random Footage - 
Primo mio esperimento di uso di una mdp e video editing mi ha impegnato circa 6 ore per arrivare a prodotto finito. ho usato per la registrazione il mio nuovo acquisto, la Kodak Zi8. Non ho usato un cavalletto e il risultato è stato abbastanza disastroso. Inoltre sarà necessario utilizzare un set di luci pensato per la ripresa visto la scarsa luminosità della mia camera. L'intenzione era quello di creare un "set" solo per il video finale ma ho deciso di conferire al backstage una dignità qualitativa, se non altro per impratichirmi con la mdp. 
Difficilissimo approccio col video-editing e tra infiniti crash del sistema e file irremediabilmente corrotti ho rischiato seriamente di perdere la pazienza (il sabato sera l'ho perso sul serio). Ma alla fine, ne sono uscito vincitore.
L'audio utilizzato è un piccolo estratto di quanto prodotto fino ad ora.
Il risultato è quello che è, ma per essere un primo esperimento devo ammettere che ne sono abbastanza fiero. 

http://www.youtube.com/watch?v=ikxmpRz6dSY (purtroppo non riesco a fare l'embed per colpa di blogger)

Se esistete, siate pure liberi di commentare come vi pare. Idee sul progetto, suggerimenti sulle future cover/lavori. Graditissimo sarebbe un feedback su questo primo video.

To be continued...

sabato 28 settembre 2013

In the mailbox [9]: Back from the dead...

Dopo una lunga assenza, eccoci di nuovo qui. Sembra passata una vita dallo striminzito post/scusa di Agosto, e settembre è già volato via nel più totale silenzio. Silenzio solo del blog, perchè in realtà di cose se ne stanno muovendo parecchie. E di film ne sto vedendo tanti. Aggiornare questa avventura diventa sempre più difficile ma al contempo necessario. Riparto quindi timidamente riprendendo il discorso sui miei acquisti in questi mesi, che insomma non sono stati pochi. In ordine:

Tre dvd presi a prezzo stracciato dal mitico pocket 2000, ovvero:


Ricomincio da Tre di Massimo Troisi,






La Marcia Trionfola di Marco Bellocchio,


Versione noleggio... D'oh!




 A History of Violence di David Cronenberg.

Dal punto di vista NERDISTICO mi sono sentito in dovere di acquistare questo boxset:





Metal Gear Solid The Legacy Collection, ovvero: tutto quello che è uscito di Metal Gear Solid dal 1987 al 2012. Grandissima collezione, presenta anche i primi due metal gear per msx. A fronte del prezzo (in Italia costa circa il doppio che in America, maledetti distributori), vale la pena?





Ottima occasione per rigiocare tutta la saga (e per costringere qualcuno a guardarti mentre lo fai...) c'è allegato anche un simpatico booklet, che presenta parecchie immagini relative alle box-art dei giochi e ai poster promozionali. Carino ma non elegantissimo. C'è da dire che se si possiede già la HD Collection è un acquisto inutile, anche perché dei due BLU-RAY uno presenta Metal Gear Solid 4 Thropy Edition e l'altro è proprio quello della HD Collection (viene riconosciuto così dalla console). Mgs1 è presente in forma di coupon da scaricare sul psn store. Insomma, niente di epocale, ma un'ottima scusa per rigiocare la storia. E rivivere l'infanzia.


Solo per chi vuole mettere a fuoco i ricordi.

E ora mischiamo un pò le carte:


Kodak Zi8, perché in testa ho qualche idea. Seguendo parecchi "how to" su YouTube mi sto procurando il materiale a basso costo per poter girare video di qualità decente. Presto qualche informazione su questi progetti futuri.


A volte ritornano.


OUT!!!!

lunedì 12 agosto 2013

Mappe di Agosto

Più che un post, un'ammissione di colpa. Una sorta di numero estivo per chiedere scusa.


Nel mese più terribile, tutto rischia di perdersi. La gente sparisce, il caldo scoglie qualsiasi impulso. Non fare nulla diventa un lavoro full-time e a quanto pare, stanca più del previsto. Tra una sessione e l'altra di sbavata sul letto (il segreto è risultare indecorosi anche quando non si è coscienti) improvvisamente, ti coglie l'impulso alla produttività, alla vita. Come può una mente così brillantemente attiva, convincere un corpo consunto dalla fatica? Tramite l'inganno, ovvio. Quindi ti trascini fino alla tastiera dopo essere stato rassicurato che “tranquillo non perderai tutto il tempo necessario per una sveltina. Si, insomma, l'avevamo pensata insieme, ricordi?!?, proprio per ovviare a quel problema dell'insofferenza mista alla stanchezza, e quindi nel disinteresse di una botta e via, nell'irriverente freschezza di un titolo così bricconcello, si poteva passare con leggerezza il trauma dell'“ommioddio sto producendo qualcosa” senza quasi accorgersene. Fa niente. Abbiamo appena trovato una nuova scorciatoia. Si fotta la sveltina, qui facciamo un'orgia” e sei pronto. Cioè, nel momento in cui guardi la colonnina a destra e ti rendi conto di aver lasciato indietro TUTTA quella roba, pensi che forse sarebbe meglio tornare sul letto, che in fondo sarebbe molto più salutare sorseggiare un estathé mentre si fissa il vuoto e poi crollare morto sul letto per lo sforzo, proprio come un koala. E ti ricordi di quanto sono stupidi questi stupidi koala, ma così stupidi che usano il 90% delle loro stupide energie solo per disintossicarsi dal cibo che stupidamente continuano a mangiare. Passano tutta la loro vita a sabotarsi i loro piani di suicidio che, insomma, è parecchio buffo e no, oh no, lo stai facendo di nuovo “l'orgia cazzo, l'orgia. Sei così rincoglionito che cerchi di prendere tempo non facendo altro, tipo che ne so, giocando con lo yo-yo, ma disperdendo verso il nulla quello che dovresti fare con attenzione. Focalizzati eccheccazzo, stai già producendo te ne rendi conto? Hai una certa età, prenditi le tue responsabilità, dietro ste battute di merda non ti ci puoi più nascondere. Non adesso, non ancora. Cioè, stai facendo divagare pure me, porcaputtana concentrati e basta stronzate. Possibile che te le devo dire sempre io ste cose?” e quindi sei costretto. Via:


Orge d'altri tempi.


Il primo a entrare nella stanza e a togliersi la maglietta è Blue Velvet. Adoro così tanto Lynch, che quando sta per rimanere in mutande lo faccio rivestire e dico “torna a settembre”. Gli dedicherò una recensione apposita, ci mancherebbe altro. Giuro uscirà anche un Link ipertestuale tuttoda clickare che mi renderà orgoglioso di aver mantenuto fede alla parola data. Per ora dico solo: grandissimo film, con il villain più affascinante di sempre. Dove “affascinante” forse non è il primo termine che dovrebbe venire in mente quando si pensa a Frank Booth. Ma abbiate pazienza, con calma, poi si dirà.


Blu e Rosso


Discorso simile per Videodrome. Primo film che vedo di Cronenberg (mai nascosta la mia ignoranza), nonostante tutti gli avvertimenti possibili è riuscito a sorprendermi lo stesso. Ovviamente nella sua visione, non trovato nulla di quello che mi aspettavo. Tranne per il body-horror disturbante più che disgustoso tutto è stato relativamente “sorprendente”. A partire dal taglio fortemente onirico e surreale che culmina nella scena finale. E poi vogliamo parlare dei cassettoni Betamax? Ah, gli anni '80!


Altro che digitale terrestre.


Faccio entrare invece nel lettone Arizona Dream, dicendo subito tutto quello che mi sento di dire. Bel film, bel cast, ottimi personaggi. Fa un po' impressione vedere un Johnny Depp così giovane, slegato dall'estetica di Tim Burton, che a conti fatti è diventata la sua nuova pelle. A mio parere un film con delle grandi intuizioni, ma che mette troppa carne al fuoco. Ho adorato il tono surrealista che permea tutta la pellicola, ma (semplificando) gli inserti iniziali slapstick stridono parecchio con la seconda parte, eccessivamente drammatica. Non propongo una teoria dei generi, anzi ben vengano le sperimentazioni, solo che in Arizona Dream manca il collante. Lo definirei un road-movie per il regista. In ogni scena si percepisce una gestazione travagliata, l'esperienza della tragedia da parte di Kusturica, il dolore che cambia la prospettiva, il punto di vista. La sovrabbondanza di linguaggio espressivo sembra sfuggire dal controllo del regista che arriva a confezionare un'opera estremamente personale, più di quanto possa sembrare. Consiglio la visione, ma con riserva. C'è qualcosa che nel suo insieme rende impenetrabile e realmente godibile questo film, il che è un vero peccato, perché se presi singolarmente, alcuni momenti sono veramente da incorniciare, e si imprimono con prepotenza nella mente dello spettatore.


Johnny Depp e Jerry Lewis: due pischelli.


You only Live Once, su su, non essere timido, c'è spazio anche per te. Grandissimo film, ispirato alle allora quasi contemporanee dis-avventure di Bonnie e Clyde, è la seconda produzione americana di Fritz Lang. Ottima rappresentazione della società occidentale e delle sue contraddizioni, mette in scena un'amarissima inversione del sogno americano, che porta ad una predestinazione sociale che non accetta compromessi. Il manicheismo yankee visto dagli occhi di uno dei più grandi registi Europei della prima metà del 900. Non c'è da aggiungere molto: va visto perché seminale e fondativo. Nulla di più, nulla di meno. (C'è da dire che ho un problema di approccio verso i padri fondatori e le opere “capostipiti” in campo artistico, ma credo di essere stato più che corretto nei confronti di questo film. Ansia da capolavoro?)


Fritz Lang: non proprio il primo che passa.



Les Amants du Pont-Neuf ehm ecco... come dire... non sei te il problema.. mi dispiace non penso sia il caso, non mi sento pronto. E giuro, non mi sarei mai sognato di dirlo a Juliette Binoche che, ancora non lo sa, ma è la donna della mia vita e stiamo insieme da parecchi anni. Comunque, un film perfetto, stilisticamente fantastico, una vera e propria lettera d'amore a Parigi e al cinema tutto. Un film così leggero e scorrevole, che mai si potrebbe ipotizzare il costo folle dietro alla riproduzione del Pont Neuf, che lo porta ad essere uno dei film più costosi (e più fallimentari) mai prodotti in Francia. Leos Carax ho deciso che voglio vedere tutto. Pura poesia, prossimamente postata in prima pagina.


Semplicemente unico.


El Topo di Jodorowsky si può unire tranquillamente all'ammucchiata. Non nascondo un sincero imbarazzo nel parlare di un film del genere. Non a livello contenutistico, nessun rimprovero etico/morale, ma proprio concettuale. Non saprei come avvicinarmi, cosa dire. Di tutte le opere surrealiste questa è veramente la più impenetrabile proprio perchè vive di personaggi, di sciocchezze, di cultura pop ormai già morta. Dentro c'è veramente tutto (dalle lesbiche che si prendono a frustate ai monaci che si danno fuoco), il rischio è che non rimanga niente. Se preso con lo spirito sbagliato, metà film potrebbe sembrare la messa in scena degli appunti confusi di uno svogliato studente di filosofia che “gli piacevano i cowboy” mentre l'altra, la fiera della stranezza deforme. Se preso con lo spirito giusto, c'era un quattr'occhi che diceva “è il mio film preferito”... […]
(Comunque se non l'hai visto, veditelo eh)


Riferimento culturale gentilmente creato con paint da: me.






Ma quando arrivano le ragazze? vieni pure, ma non azzardarti a guardarmi negli occhi. E quando hai finito, non richiamarmi. Un film brutto, ma brutto forte. Pupi Avati presenta una storia finta e superficiale, resa in modo plasticoso e posticcio. Si parla di Jazz in un modo così rarefatto che l'unico che si droga (poraccio, suonava il contrabbasso) neanche hanno il coraggio di farlo morire. Anzi è l'elemento comico. Non si può usare la musica come perno centrale della narrazione e ridoppiare così male una pellicola: dai dialoghi ovattati alle parti suonate dove palesemente chi suona, sta facendo altro. Ah, e tutto il parallelismo con le comete è di un pretestuoso unico e... basta. Ho odiato questo film. Ci mancava solo Sandra Bullock.


Belli e Bravi.


Napoleon Dynamite è un film che adoro, ma capisco i motivi per cui non possa piacere e non mi sento di biasimare i suoi detrattori. Penso che il problema dell'esprimere un'opinione a riguardo sia accentuato dal fatto che il film sia diventato un cult: bisogna sempre muoversi con cautela quando si raggiungo questi lidi. Perché significa avere fan integralisti da una parte, e detrattori accaniti dall'altra. Se non altro andrebbe riconosciuto universalmente che in un'ossatura lenta ed esasperante vengono presentati dei personaggi unici e divertenti, che potrebbero essere riutilizzati in altri contesti senza alcun problema (e infatti è stata fatta anche la serie animata). Un giorno magari proverò a spiegare la mia posizione di difesa, ma per ora non è una priorità. Diciamo che una volta spenta la luce non si è capito se il film dei coniugi Hess si è buttato nella mischia o è tornato a casa.


GOSH!


Wild at Heart, secondo invitato di Lynch, torna anch'esso a casa senza pensarci due volte. C'è tanto da dire anche qua. Innanzitutto è il primo film di Lynch che si può definire divertente, cosa non banale visto che mantiene comunque i toni inquietanti della filmografia del regista. Secondo: un film con Nicolas Cage che non è una merda, mica facile eh (escluso Arizona Junior, ovvio). Ne parlerò, e molto. Per ora dico: incredibile vedere l'evoluzione e crescita (fisica, anche) di Laura Dern attraverso i film di Lynch. Da dumb virgin in Blue Velvet a Woman in Trouble in Inland Empire. Zero tette, ma tanto naso, ehm... cuore.


Si balla.


Il corto (ehm) Fear and Desire non riceverà nessun trattamento in questo post. Recentemente distribuito per la prima volta nelle sale italiane, ne avevo già sentito parlare (fu argomento di una lezione all'università) e quindi sapevo già cosa mi sarei trovato davanti. Opera prima con parecchi spunti interessanti, ma appunto, opera prima. Più interessante a livello narrativo che filmografico. Rimane l'intenzione di proporre un ciclo Kubrick su questo blog, quindi per dire due parole vorrei aspettare ancora un po' e relegare ad un ambito circoscritto tutta la filmografia del regista. E il tempo?


Primi tentativi di comunicare.


Infine, Pomodori Verdi Fritti, di Jon Avnet. Entra pure, e visto che ci sei, chiudi la porta a chiave. Film drammatico potenzialmente interessante, cade in alcune scelte narrative che lasciano l'amaro in bocca. Prima tra tutte non c'è il coraggio di mostrare fino in fondo quello che chiaramente era nel romanzo originale un rapporto omosessuale tra le due protagoniste. Qui ci si limita ad un'amiciza veramente speciale, ma così speciale, che abbiamo iniziato tenendoci per mano sin da quando eravamo bambine (e la regia, paradossalmente, calca questi momenti come a suggerire quello che non si può dire) e alla fine ci siamo addirittura prese a torte in faccia (“[...] the director acknowledes the relationshp and points out that a scene between the two women engaging in a food fight was intended to be seen as symbolic love-making”). Fastidioso il didascalismo propedeutico della storia passata per la vita presente. A parte queste ingenuità, una buona rappresentazione di cosa doveva essere il Sud dell'America del Nord un secolo fa. E di quanto siano squallide le famiglie americane a noi contemporanee.


Amiche. Ma taaaaanto...


Chiuso con gli update vorrei pensare ad alta voce al problema Futurama. Ero partito volenteroso nel recensire l'ultima stagione che sta andando in onda queste settimane in America ma ho perso il filo, e a parte il primo episodio, sono rimasto parecchio indietro. Ora, devo recuperare? C'è da dire che recensire un episodio di 20 minuti è più complicato del previsto (devo entrare nel dettaglio di ogni scena o fare un piccolo riassunto/giudizio complessivo?) e in più le nuove puntate non sono poi così brillanti. Se la comicità a ridotta a semplici battute, come parlarne in modo intelligente? Troverei parecchio noioso un commentario di ogni singola frecciatina di Bender. Devo riflettere.


Quando?


Anticipo, ma si sa che la mia affidabilità rasenta livelli ridicoli, che vorrei ampliare un po' i confini di questo blog e proporre una serie di recensioni che esulano dal campo prettamente cinematografico ma che comunque resterebbero in linea con le mie intenzioni iniziali di riflessioni sull'arte e sul linguaggio. Che detta così sembra una roba pretenziosa. E probabilmente lo è. Ho impiegato quattro ore per questo post, e mi sto squagliando. Maledetto, me l'hai fatta di nuovo.


Hint


Mira el dito...

OUT!

NOTA: Questo post contiene un numero spropositato di link ipertestuali. Alcuni, sono divertenti. Sono stati messi mentre in sottofondo andava una playlist youtube di Beyoncé.

domenica 28 luglio 2013

Sveltina [6]: Seven



Seven
Titolo italiano Regia Anno Genere Con
Seven
1997 Thriller Morgan Freeman,
Brad Pitt
In una città americana senza nome, i due detective Mills e Somerset, si trovano all'inseguimento di uno spietato serial killer. Ogni omicidio, l'espiazione di un peccato capitale: questa l'unica pista da seguire...







Grottesco e caricaturale, Seven è un titolo che, nella sua ambiguità, fornisce una perfetta rappresentazione delle incongruenze della società occidentale moderna.








La storia si presenta come l'archetipo di ogni thriller poliziesco. Si parte dall'ingenua presenza dei due protagonisti antitetici, Morgan Freeman poliziotto cinico e disilluso (quasi in pensione) e Brad Pitt giovane detective irruento ma fortemente convinto del suo ruolo, che operano in una città senza nome, la grande metropoli americana. È l'immaginario americano, che nella sua semplicità, accompagna lo spettatore per mano. Volutamente non vengono fornite ulteriori coordinate: chi guarda deve sentirsi a casa ma allo stesso tempo spaesato. È il genere stesso, il thriller, ben prima delle istanze sociali, ad essere sovvertito.





Il vero protagonista, il motore dell'azione, è l'anonimo John Doe (interpretato da un grandissimo Kevin Spacey). A dettare le regole sono la squilibrata violenza e la follia calcolata del mimetico ordinario. Non c'è nessuna corsa contro il tempo, anzi, la rin-corsa dei due detective è solo apparente: essi sono immobili, burattini del diavolo che si affannano per il suo compiacimento. Questo è il perno del film: l'orrore massimo non è nulla di trascendentale, è quanto di più comune. La pellicola vive nel continuo sfaldamento degli opposti manichei su cui il popolo americano basa le sue convinzioni. Il bene e il male, la famiglia e l'isolamento, violenza e giustizia. In una messa in scena così cruda e volutamente esagerata della morte, dove insetti pasteggiano sugli escrementi di corpi mutilati, anche la vita non è più riconoscibile. Le torture prescindono dal significato pseudoreligioso (questo forse il più grande aiuto/inganno del film) solo per accompagnare al totale rigetto, e il massimo annullamento è la scelta a cui sono obbligate tutte le vittime: il rifiuto della vita.




Ma, ancora una volta, per quanto riguarda i protagonisti, non si può parlare di vere e proprie scelte. Tutto è in mano al glorioso progetto del demiurgo John Doe. Ingenuità narrative, dialoghi didascalici e ridondanze nella messa in scena si ribaltano nel loro opposto nella sequenza finale, confermando l'intenzionalità da parte di Fincher di articolare il suo prodotto in questa direzione. Perfetta la scelta registica di non mostrare il contenuto del pacco nella scena finale del film. Il vero orrore non è la scia di sangue, situata sempre un passo avanti a Somerset e Mills, ma il fatto di aver percorso questa strada fino in fondo. La realizzazione non è tramite la vista, ma attraverso l'azione. Il vero mostro è chi tacitamente acconsente, chi si nasconde dietro alle illusioni del sogno americano. Il patetico nucleo interno viene disgregato, la speranza del giovane detective totalmente annullata. Non c'è via di fuga, il piano si conclude, la spirale di violenza è circolare. Non si può sfuggire alla tragedia, si graviterà per sempre nella sua orbita.





"'The world is a fine place and worth fighting for.' I agree with the second part."

lunedì 22 luglio 2013

Sveltina [5]: Another Earth



Another Earth
Titolo italiano Regia Anno Genere Con
Another Earth
2011 Fantascienza
Drammatico
William Mapother,
Brit Marling
La giovane Rhoda Williams causa un terribile incidente stradale in cui rovina la vita del compositore John Burroughs, lasciandolo in coma ed uccidendo sua moglie e suo figlio. Intanto in cielo appare un nuovo pianeta, visibile ad occhio nudo, in tutto e per tutto uguale alla nostra Terra...





Another Earth, primo esperimento dietro alla macchina da presa di Mike Cahill, è un buon film che riesce, nonostante gli eccessi di una regia un po' troppo indie/tremolante, a ritagliarsi un suo spazio, una sua identità. Fallisce nel finale, nell'intento di voler stupire per forza. La base fantascientifica, gestita ottimamente per quasi tutta la pellicola, è un solido contesto nel quale articolare il dramma personale della protagonista: l'eterno binomio libero arbitrio/predestinazione ottiene nuova linfa vitale nella contestualizzazione della terra gemella. Siamo veramente destinati agli stessi errori in ogni situazione possibile? E se esistessero dei nostri doppi, porterebbero avanti le stesse scelte?





L'intuizione di “Terra 2” così minacciosamente vicina, resa da una fotografia straordinaria che ci regala l'immagine più bella di tutto il film (che non a caso sarà usata nella locandina), impone un senso di urgenza e di obbligata riflessione sulle proprie azioni. Il mondo non può non vedersi costantemente, come davanti ad uno specchio: la protagonista deve fare i conti con i propri demoni. Ed ecco che lo spunto macrocosmico diventa, di riflesso, la paradossale storia d'amore microcosmica tra la vittima e il suo involontario carnefice. Il progresso psicologico di Rhoda, vero perno del film, si impone violentemente tanto che lo spettatore è quasi portato a credere che Terra 2 sia solo un'invenzione onirica della ragazza, e il film la rielaborazione solipsistica dell'incidente iniziale. Nonostante le didascaliche e ridondanti interazioni familiari gestite in maniera eccessivamente superficiale (senza contare la ridicola figura dell'inserviente), il dramma di Rhoda è palpabile e coinvolgente. Purtroppo, l'equilibrio raggiunto si spezza nell'ultima scena.




Con violenza la fantascienza si impone come unico punto di vista accettato e fa crollare l'impostazione del film in un finale secco, tranciato e tranciante, che lascia spazio a numerose interpretazioni: sinceramente, non necessarie. All'incertezza emotiva Cahill preferisce il dubbio pseudorazionale che esige una spiegazione trascendente l'esperienza personale. La centralità di Rhoda si perde, l'interesse anche.
Da segnalare una bella colonna sonora, semplice ma appropriata, ed una buona prova attoriale di Brit Marling, alla sua prima esperienza in un lungometraggio. 


Brit Marling e Mike Cahill. Oltre ad essere, rispettivamente, protagonista e regista del film, entrambi hanno firmato la sceneggiatura.

domenica 21 luglio 2013

In the mailbox [8]: Cinema, Musica, Borraccia e Tristezza

Dopo un secolo di autocontrollo, ecco l'immancabile appuntamento con il reseconto dei miei acquisti. Hoplà!:

Si inizia con un bel pacchetto contenente tanti divuddì. La Eagle DVD ha pensato bene di fare dei supersconti sul suo catalogo per il periodo estivo, e che fai, non ne approfitti?



9 dvd, perchè se siete lettori affezionati e attenti vi ricorderete che avevo già acquistato Fino all'Ultimo Respiro e Essi Vivono, tutti appartenenti alla collana "I Film della Vita". Adoro questa collana, a partire dalla grafica della confezione molto gradevole. Il vero punto forte, però, è il booklet presente all'interno di ogni dvd curato dalla redazione di Duellanti. Breve ma densissimo di informazioni, curiosità ed approfondimenti. Duellanti eh, mica pizza e fichi.




Come se non bastassero questi dvd, la Eagle decide di superarsi. All'interno della scatola ho trovato anche un buono sconto di 5 euro per il prossimo acquisto e... una borraccia brandizzata Shadowhunters. Mah?!


WTF?!?

Infine arriva dall'america un acquisto viniloso. La versione strumentale di 12 Reasons to Die di Ghostface Killah.




Geniale che in questa versione il titolo e la tracklist siano tradotti in italiano, in omaggio al cinema horror del nostro paese. Il risultato è (volontariamente... credo) comico:




Peccato che ci siano stati problemi con la spedizione. Oltre ad aver impiegato quasi 2 mesi ad arrivare, non solo manca un ulteriore vinile che avevo ordinato, ma il vinile presente all'interno non è quello della versione strumentale. Soul Temple Music, me la pagherai cara (appena inizi a rispondere alle email)

Detto questo, mi scuso per il ritardo sulle recensioni di Futurama, vorrei portarle avanti, ma recensire un cartone animato ad episodi è più "strano" di quello che pensassi. Vorrei fare anche molte altre sveltine, soprattutto perchè i film appena arrivati sono tutti interessantissimi. Ma a voi?


OUT!