giovedì 27 giugno 2013

Sfogo alla luce del buio



Ora vi spiego come funziona. Guardate, si è fulminata la luce in bagno. Provaci no? Prova a svitarlo, che aspetti? Ce la puoi fare stavolta. Ma a quanto pare, per svitare sto cazzo di lampadario sembra ci voglia un tecnico del CERN, e io ho difficoltà a completare i puzzle con età consigliata tra i 7 e i 10 anni. Vabbeh pace. Aspetterò qualche giorno, dopotutto c'è una luce secondaria. Certo, non è quella che sei abituato ad accendere, che si trova la proprio dove dovrebbe essere, e sempre là è stata. Comoda, sulla destra, appena entri, ormai non guardi più perché una volta tanto il tuo cervello sa dove mettere le mani, nessun bisogno di consultazioni o controlli incrociati. Ma sapete che c'è? Analizzo la situazione e capisco che non è il caso di spogliarsi, rannicchiarsi in posizione fetale e piangere fino a morire di disidratazione. No, non questa volta: qualche giorno di attesa e una persona più qualificata di me rimetterà a posto ciò che è slittato dalla quotidianità, gratis. Il buio sarà solo un incubo sbiadito: ricordo lontano scacciato via dalla salvifica potenza di 70w di luce artificiale.
Vedete? Accetto il fatto che le cose possano non andare come dovrebbero. Mica mi distruggo emotivamente per ogni minimo imprevisto del cazzo. Ma il fatto è questo: non si è mai veramente pronti. Un inguaribile fiducia negli altri più la necessità di punti fermi nell'esistenza, unite ad una spensierata incapacità di concretezza tipicamente pre-adolescenziale (gli occhi del fanciullo, o chi per loro) ed ecco il dramma esistenziale che si ripropone. Ogni volta entro in bagno e provo ad accendere la luce. Si lo faccio. Rimane buio, nulla. Non c'è niente da fare. Ripeterò lo stesso errore all'infinito. Accendo, nulla. C'ho provato eh: al massimo sono riuscito a rendermi conto dell'inutilità dell'azione quando ormai era troppo tardi per richiamare il dito alla compostezza. Per sempre condannato a sentire quel “click” seguito da un sonoro (visivo) nulla. Cambi bagno? Macchè, tanto ci ritorni. Mille promemoria mentali, illimitati accorgimenti ma quell'arrogante interruttore del cazzo continua a vincere ogni volta: la mia fiducia nella vita, la compostezza nell'organizzazione, il mio stare in piedi, tutto crolla nel beffardo rifiuto di un infame interruttore di plastica. Guardatemi sono qua che entro. Non vedete? È buio, porco il cazzo. Click. Nulla. Ruggisco. 
Mi lavo le mani incazzato nero. Poi la luce dello specchio fa pure schifo. Perchè non cambio lampadina?
La prossima volta ce la farò.

Cosa stavo dicendo?

Mi scuso per l'ostentata ripetizione della parola cazzo, qui in un posto così sobrio. È il mio sterile atto di ribellione in un claustrofobico ambiente deterministico. Per gli insulti, non credo che l'interruttore avrà da ridire. In fondo, tra i due, il ragazzino sono io.

martedì 18 giugno 2013

In the Mailbox [7]: Tanta musica, tante immagini



Dopo più di un mese di ingiustificabile assenza, torna quest' attesissima rubrica. Come sono stati spesi i risparmi in questi mesi di maggio/giugno? Musica, musica e musica. Nel dettaglio:

Continua, e finisce oggi, la raccolta dei Pink Floyd di tv sorrisi e canzoni e La Repubblica. 




Quindicesima uscita, Pulse in versione doppio DVD. Carino il packaging e il booklet, raccolta sostanzialmente promossa. Mancano parecchie foto di arretrati, visto che la pigrizia ha vinto, ma non del tutto, un pò di album a caso:






Quattordici uscite da raccogliere nel comodissimo cofanettone dell'allegria. Simpaticamente in omaggio con la prima uscita:






Tristemente pensato da due scimmie ubriache, il gaio cofanetto sembra non essere concepito per contenere tutti i cd. Si: non c'entrano. Dopo svariati tentativi, arrivando quasi a spaccare i dischi, mi sono ingegnato artigianalmente ed è tutto bene quel che finisce bene. Dopo una settimana di mirata pressione e sguardi di disprezzo trionfano pace ed armonia:




Collezione finita, ho tutti gli studio album della band. Manca giusto qualche live, ma Pulse a quanto pare è il più riuscito. Tranne per le incomprensibili dimensioni del cofanetto, una serie di uscite imperdibile.

Si prosegue sul fronte musicale, ma si passa a musica italiana, nel formato più scomodo (ma arrapante. per i nerd, ovvio) di tutti: il vinile.




La Morte, album uscito nel 2012, nato dalla collaborazione di Riccardo Gamondi (Uochi Toki) e Giovanni Succi (Bachi da Pietra). Il secondo legge passi scelti dalla letteratura italiana appoggiandosi sulle allucinogene basi del primo. Tema centrale, ovviamente: la morte.


Questa la cartolina con uno dei trenta soggetti di Veronica Azzzinari. Scelto personalmente!





Vinile elegantissimo, è praticamente composto a mano. Riporto dal sito di Corpoc:

"Incisione in copertina a cura di Veronica Azzinari; 30 soggetti diversi
Serigrafie in copertina effettuate con cenere (ovviamente derivante da sacrifici a -)
Copertina e busta interna calligrafate da Giovanni Succi
300 copie, coprodotto con Anemic Dracula records"




All'interno una cartolina con qualche informazioni e il vinile interamente nero con delle semplici A e B per distinguere i lati.







A proposito di Uochi Toki, eccoci al vero pezzo forte del giorno: Macchina da Guerra, il loro nuovo EP.


Front cover






Reperibile solo ai loro concerti, e solo in questo formato, è disarmante nella sua bellezza. Grafica interamente curata da Napo, che quando disegna si fa chiamare "Lapis Niger"


Back cover.

Confezione gatefold, oltre agli stupendi artwork non presenta alcuna informazione di sorta. Leggendo in giro la tiratura sembra limitata a 300 copie, ma non ne sarei così sicuro.


 


L'unica informazione disponibile è presente sul vinile. A quanto pare nel disco c'è in contributo di un certo M. TABE




Giusto per dare sfogo al mio orgoglio nerd, segnalo che questa non è la prima volta che gli Uochi Toki scelgono il vinile come unico supporto per la loro musica. Il primo esprimento si ha nel 2012 con Distopi (una sorta di singolo/prequel al disco uscito lo stesso anno Idioti)


 


Sempre serigrafato da Corpoc, stavolta con un pò più di informazioni disponibili, il vinile ha una tiratura limitata di 300 esemplari. Al giorno d'oggi è esaurito e raro. Rico, per chi se lo fosse perso, ha reso disponibile il suo contenuto in free download.




All'interno sono presenti 4 cartoline "sovrapponibili" alla copertina originale. Grafica come al solito curata da Lapis Niger.




Picture Disc molto ispirato, presenta con intento programmatico la scelta del vinile attraverso due lapidarie scritte.
Tutto questo per dirvi che, sì, ce l'ho fatta: ho tutto quello che gli Uochi hanno pubblicato fino ad ora. 


Special thanks to: Lella

Chiudo qua. Vi ricordo che:

- Non esistete
- Il 19 inizia in america la seconda parte della settima e FINALE stagione di Futurama. Wow.


OUT!

giovedì 13 giugno 2013

Un addio attraverso il cinema: oltre la memoria



Più che testimone, il cinema trascende la sua intenzione iniziale e diviene testamento. L'immagine supera la morte, vince l'abbandono. La scomparsa presuppone l'interruzione del dialogo. Ma è proprio in questa inevitabile conclusione che è affidato allo spettatore il compito più grande: il ricordo, la re-immaginazione del vissuto attraverso il lascito dell'immagine.

Casualmente mi sono imbattuto in due opere molto diverse tra di loro: "Al di là delle nuvole" e il segmento “Che cosa sono le nuvole?” diretto da Pier Paolo Pasolini, parte del film “Capriccio all'Italiana”. I due film hanno alcuni punti in comune. Oltre all'evidente presenza delle “nuvole” in entrambi i titoli, riferimento che non presuppone però una coincidenza tematico-narrativa, a livello formale sono pellicole episodiche e collettive, ovvero dirette da più di un regista. Per il primo abbiamo l'accoppiata Wim WendersMichelangelo Antonioni, dall'altra si affiancano sei registi: Mauro BologniniMario Monicelli, Pier Paolo Pasolini, Steno, Pino Zac e Franco Rossi,  . La coincidenza più importante è che si tratta di due opere che segnano la fine di una carriera: l'ultimo film diretto da Antonioni e l'interpretazione finale di Totò











 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"Al di là delle nuvole": una ricerca senza fine


Nato dalla volontà di Wim Wenders di far tornare alla regia Antonioni nonostante le sue precarie condizioni fisiche, Al di là delle nuvole è un film agonizzante. Quattro storie d'amore impossibili, struggenti ancor prima del rapporto stesso, sono unite meta-narrativamente dal vagare senza direzione di un regista (John Malkovich) in cerca di ispirazione. Il fallimento risiede nell'incapacità di relazionarsi attivamente alla vita. Le fotografie scattate che danno il via alle storie, non riescono ad animarsi realisticamente. La mancata capacità di relazionarsi dei protagonisti è il sintomo, e non l'intenzione, di un film che non è in grado di cogliere il fluire degli eventi. L'unica cosa che riesce ad offrire sono dialoghi freddi, senza reale interazione, un vuoto parlare pseudo-filosofico in cerca di una verità che non potrà mai raggiungere. I corpi recitanti sono così pesanti, a tratti degli automi, che sono incapaci di elevarsi, e il volo finisce ben prima di raggiungere le nuvole.
È nella figura del regista che il film trova il suo riscatto: personaggio autobiografico, riesce a racchiudere un'intera poetica con le sue ultime parole. L'incessante desiderio di andare oltre, di disvelare il mondo attraverso quell'infinito mezzo espressivo che è il cinema, questo è il vero compito di Antonioni e di chi condivide il suo mestiere. La ricerca è senza fine, ma produce risultati incredibili. Anche in un grandissimo intoppo, nella mistificazione più rigida, è la volontà autoriale a presentarsi in tutta la sua voglia di essere: e così per sempre.


"Noi sappiamo che sotto l'immagine rivelata ce ne è un'altra più fedele alla realtà. E sotto quest'altra, un'altra ancora. E di nuovo un'altra sotto quest'ultima. Fino alla vera immagine di quella realtà assoluta, misteriosa, che nessuno vedrà mai."




"Che cosa sono le nuvole?" : il tragico palcoscenico dell'esistenza


In 20 minuti rappresentare l'esistenza intera. Non cercare una soluzione, una chiave interpretativa, ma tutto l'essere nella sua semplicità imperscrutabile. Un palco, degli spettatori, una tragedia sempre in esecuzione, dei burattini, un burattinaio, uno spazzino, la discarica. I punti di vista sono infiniti, gli stessi attori non sono convinti dalle decisioni prese dai loro personaggi, ma non per questo si fermano. La vita va avanti, e la verità è proprio questa: nulla si ferma, tutto continua. Nell'incapacità di eludere il contrasto, l'incomprensione, la sofferenza, qui risiede la vita, ma anche la morte. Tutti gli estremi sono riconducibili ad un'unica unità, crolla qualsiasi volontà interpretativa. Totò è la, per sempre. Nella totale identificazione con Iago, meschino e verde di invidia nella vita ma, allo stesso tempo, genuinamente umano dietro le quinte. Il suo ultimo ruolo non poteva che essere questo. Ogni sentenza un addio, ma ugualmente una mano tesa verso il futuro, un aiuto a vivere per chi verrà dopo di lui. Totalmente assorto nella recitazione, non è più Antonio De Curtis, ma l'immagine ricreata in quell'istante, in questo corto, in ogni attimo della sua carriera. Muore, così come nella vita. Nell'oblio della discarica, putrefazione della storia, solo allora può osservare le nuvole: straziante, meravigliosa, bellezza del creato.


"Eh figlio mio... Noi siamo in un sogno, dentro a un sogno"


Ci rivedremo là, tra le nuvole


Due film diametralmente opposti, uno un pasticcio, l'altro un capolavoro di poetica inserito in una simpatica commedia (ma niente più). Poco importa, li sento così vicini. Sono solo due esempi dell'inesauribile potenza poietica del cinema, che può donare l'immortalità. È nella creazione che l'uomo si trascende. È il cinema che ripaga lo sforzo e, attraverso l'immagine, garantisce la voce, la possibilità di esprimersi a chi è in grado di trasmettersi nello spettatore, evitando così l'inevitabile: l'interruzione più grande di tutte. La volontà di Antonioni vivrà per sempre nelle parole di Malkovich che sparisce dietro la finestra, l'umanità di Totò per sempre rafforzata nella mistica saggezza donatagli da Pasolini. Le nuvole, così come nel primo film, si superano con un aereo meccanico, ma non accade nulla. Non vanno oltrepassate, vanno osservate: solo così si esce da sé stessi.




                 "-Cosa senti dentro di te? Concentrati bene, cosa senti, eh?

                 -Si si, si sente qualcosa che c'è!

                -Quella è la verità... Ma shh... Non bisogna rovinarla. Perché appena la nomini, non c'è più"


lunedì 10 giugno 2013

Only God Forgives



Turbato ma affascinato, ecco come mi sono sentito dopo la visione di Only God Forgives. Un film interminabile ma breve, una tortura: un vero incubo. Parecchi sono gli spunti ricavati, non voglio limitarmi e quindi evito di scrivere una recensione asfissiante nella sua direzionalità. Propongo un piccolo saggio, con considerazioni che in alcuni casi esulano dalla ricezione in sé.

Nota: ho avuto parecchi problemi con l'uploading delle immagini, soprattutto perchè ancora non se ne trovano molte su internet. Di quelle che sono riuscito a mettere, l'editor di google me le fa impostare o a dimensione francobollo o così grandi da sforare l'impaginazione, il che mi rende molto triste.  Diciamo che in generale per quanto riguarda impaginazione e contenuti questo post è un work-in-progress.


Only God Forgives
Titolo italiano Regia Anno Genere Con
Solo Dio Perdona

2013 Thriller Ryan Gosling,
Kristin Scott Thomas
Julian è un americano che gestisce una palestra in Thailandia come copertura per i suoi loschi affari di famiglia. Quando il fratello viene ucciso, la madre raggiunge il suo unico figlio rimasto in vita con l'intenzione di ottenere vendetta...








Scortati attraverso infiniti corridoi




Pantheon in Divenire

 


Sovrapposizione programmatica: il film cerca l'inquadratura per fissarsi in un posa inanimata.





Relazione morbosa con la madre, personaggio simbolo di squallore e crudeltà. Krstin Scott Thomas incontra Donatella Versace.




Le scene del karaoke sono le più decontestualizzanti in assoluto. Ma è proprio grazie ad esse che il film acquisisce una sua identità.





 




Anche cromaticamente, Chang è scollato da tutto il resto del film



sabato 1 giugno 2013

(Doppia) Sveltina [2]: Outrage - Outrage Beyond



Outrage/Outrage Beyond
Titolo italiano
Regia
Anno
Genere
Con
Outrage/
Outrage Beyond
2010/
2012
Yakuza film
Takeshi Kitano,
Ryo Kase
Il clan Sanno, uno delle più grandi famiglie della yakuza, è in continuo subbuglio. I numerosi tradimenti invertono continuamente le alleanze e distruggono la fiducia reciproca. Dagli scagnozzi alla base, fino ai capi in cima, nessuno è risparmiato...











I due Outrage sono le ultime produzioni del regista Takeshi Kitano. Non sono uniti semplicemente da un filone narrativo, ma da una vera e propria sovrapposizione applicabile in tutti i campi. Beyond non è un sequel, ma l'espansione di un concetto (da qui l'andare “oltre”), quasi ci trovassimo di fronte ad un remake.
La prima coincidenza si ha nella struttura narrativa: non solo nel tema centrale è l' ”outrage” da cui derivano le conseguenze, ma nello stesso modo in cui esso si struttura. Ad esempio, in entrambi i film, non solo è presente un momento che si potrebbe schematizzare nel “capovolgimento” della situazione iniziale, ma anche registicamente la sequenza è affrontata nella stessa maniera: ovvero un montaggio frenetico di scene scollegate tra loro dove, senza spiegazioni ed introduzioni di personaggi, sono presentati atti di violenza e disordine ad indicare il fatto che i rapporti di forza tra i clan mafiosi stanno cambiando.




Kitano, però, non si limita a riproporre lo stesso tracciato anzi, gioca e sperimenta con quanto già detto in precedenza. Esempio lampante è l'uso del fade-out e del fade-in nei cambi di scena. Espediente molto utilizzato nel primo Outrage, nel secondo viene riproposto ma stavolta, durante uno degli schermi neri si viene colti di sorpresa con un improvviso rumore di spari. Solo dopo verrà mostrata la scena. Il registra gioca con il linguaggio in suo posssesso, cercando di non far mai accomodare completamente il suo spettatore.


"Questo potrebbe essere il mio capolavoro"


L'elemento portante della storia è l'oltraggio, inteso come tradimento. Kitano rende perfettamente l'eticità distorta del mondo della yakuza e dei suoi membri. L'importanza attribuita alla ritualità nella cultura giapponese, porta all'impossibilità di agire liberamente anche nell'illegalità. Più di un semplice codice di onore, la mafia è incatenata ad un vero e proprio habitat famigliare, una società al di fuori della società. La legge oltre la legge, però, dimostra tutta la sua inconcretezza: chi si reputa al di fuori della moralità non può vivere in un ordine costituito. L'oltraggio risulta quindi una dinamica necessaria che avvelena tutti i piani della yakuza. La guerra è intestina: il senso di appartenenza viene messo in secondo piano dall'egocentrismo. È significativo che nel primo film muoiano tutti i protagonisti, il loro destino è l'oblio. La costruzione piramidale rimane in piedi, ma i mattoni che la costituiscono sono senza volto e tutti uguali, intercambiabili tra di loro. Da qui la circolarità delle situazioni e l'impossibilità di uscirne.




Outrage Beyond presenta la stessa impostazione narrativa, ma stavolta è in grado (con grande sorpresa di chi guarda) di spezzare il ciclo di morte. Questo perché il film riesce finalmente a trovare un protagonista: la pellicola ha un nome in cui identificarsi, Otomo. Personaggio interpretato dallo stesso Kitano, viene letteralmente ripescato dai morti (il primo outrage si concludeva con il suo assassinio) con una banale scusa. È significativo che questa sia la sua “seconda” vita: ormai è fuori dalle dinamiche di distruzione interno alla yakuza, ed è restio nel rientrarci. Il suo desiderio non appartiene più all'interesse mafioso, ma risiede nella più intima sincerità: invecchiare, vivere. Proprio per questo è costretto, per affermarsi positivamente, a diventare la morte stessa. Otomo, nella sua grandiosità, è un fantasma, etereo ed inafferrabile. 


Revenant


Lo spettro, per essere finalmente libero, capisce che deve tagliare tutti i suoi contatti con la vita: da quel mondo non si può fuggire, può essere solo cancellato. La sua potenza distruttiva culmina nell'ultima scena. Otomo ormai è una semplice ombra, non è più un essere umano, non può essere più controllato. L'avidità del detective Kataoka lo spinge troppo oltre e gli si ritorce contro. Tutti i motori scatenanti sono eliminati, la morte non si può comandare. Il film finisce così, in modo brusco ma sorprendente. Di colpo ci si rende conto che non si è interessati a sapere come continuerà il mondo della yakuza, in quanto il processo è senza fine. Quello che conta è aver posto fine all'oltraggio che aveva scatenato tutto. Il regista, dimostrando una grandissima consapevolezza, si ferma, non aggiunge altro, lasciando in questo taglio netto un finale perfetto per la sua opera.




La maggior concretezza di Beyond rispetto al suo prequel si riscontra in altri due fattori. Innanzitutto oltre ad Otomo, anche gli altri personaggi riescono, seppur in modo minore, ad uscire dal ruolo di macchiette e a concretizzarsi. L'unicità del conflitto lascia il posto ai tanti volti che ne sono partecipi. Alcune delle scene più riuscite sono quindi gli incalzanti dialoghi tra i vari membri della yakuza, dei veri e propri faccia a faccia violentissimi nella loro concitazione. Onore e desiderio di dominio si scontrato in questi scambi, creando così nuovi spazi, assenti in Outrage.




Menzione d'onore va alla messa in scena della violenza in sé. Ciò che nel primo film molto spesso veniva solo alluso, Kitano stavolta decide di mostrarlo completamente. Sempre però con un grandissimo controllo e consapevolezza del mezzo. Oltre alla già citata scena finale, disarmante nella sua crudezza, l'esecuzione di Ishihara, personaggio che riesce a farsi odiare in tutti e due i film, in un misto di pulp e grottesco, impressiona e diverte allo stesso tempo.