domenica 28 luglio 2013

Sveltina [6]: Seven



Seven
Titolo italiano Regia Anno Genere Con
Seven
1997 Thriller Morgan Freeman,
Brad Pitt
In una città americana senza nome, i due detective Mills e Somerset, si trovano all'inseguimento di uno spietato serial killer. Ogni omicidio, l'espiazione di un peccato capitale: questa l'unica pista da seguire...







Grottesco e caricaturale, Seven è un titolo che, nella sua ambiguità, fornisce una perfetta rappresentazione delle incongruenze della società occidentale moderna.








La storia si presenta come l'archetipo di ogni thriller poliziesco. Si parte dall'ingenua presenza dei due protagonisti antitetici, Morgan Freeman poliziotto cinico e disilluso (quasi in pensione) e Brad Pitt giovane detective irruento ma fortemente convinto del suo ruolo, che operano in una città senza nome, la grande metropoli americana. È l'immaginario americano, che nella sua semplicità, accompagna lo spettatore per mano. Volutamente non vengono fornite ulteriori coordinate: chi guarda deve sentirsi a casa ma allo stesso tempo spaesato. È il genere stesso, il thriller, ben prima delle istanze sociali, ad essere sovvertito.





Il vero protagonista, il motore dell'azione, è l'anonimo John Doe (interpretato da un grandissimo Kevin Spacey). A dettare le regole sono la squilibrata violenza e la follia calcolata del mimetico ordinario. Non c'è nessuna corsa contro il tempo, anzi, la rin-corsa dei due detective è solo apparente: essi sono immobili, burattini del diavolo che si affannano per il suo compiacimento. Questo è il perno del film: l'orrore massimo non è nulla di trascendentale, è quanto di più comune. La pellicola vive nel continuo sfaldamento degli opposti manichei su cui il popolo americano basa le sue convinzioni. Il bene e il male, la famiglia e l'isolamento, violenza e giustizia. In una messa in scena così cruda e volutamente esagerata della morte, dove insetti pasteggiano sugli escrementi di corpi mutilati, anche la vita non è più riconoscibile. Le torture prescindono dal significato pseudoreligioso (questo forse il più grande aiuto/inganno del film) solo per accompagnare al totale rigetto, e il massimo annullamento è la scelta a cui sono obbligate tutte le vittime: il rifiuto della vita.




Ma, ancora una volta, per quanto riguarda i protagonisti, non si può parlare di vere e proprie scelte. Tutto è in mano al glorioso progetto del demiurgo John Doe. Ingenuità narrative, dialoghi didascalici e ridondanze nella messa in scena si ribaltano nel loro opposto nella sequenza finale, confermando l'intenzionalità da parte di Fincher di articolare il suo prodotto in questa direzione. Perfetta la scelta registica di non mostrare il contenuto del pacco nella scena finale del film. Il vero orrore non è la scia di sangue, situata sempre un passo avanti a Somerset e Mills, ma il fatto di aver percorso questa strada fino in fondo. La realizzazione non è tramite la vista, ma attraverso l'azione. Il vero mostro è chi tacitamente acconsente, chi si nasconde dietro alle illusioni del sogno americano. Il patetico nucleo interno viene disgregato, la speranza del giovane detective totalmente annullata. Non c'è via di fuga, il piano si conclude, la spirale di violenza è circolare. Non si può sfuggire alla tragedia, si graviterà per sempre nella sua orbita.





"'The world is a fine place and worth fighting for.' I agree with the second part."

lunedì 22 luglio 2013

Sveltina [5]: Another Earth



Another Earth
Titolo italiano Regia Anno Genere Con
Another Earth
2011 Fantascienza
Drammatico
William Mapother,
Brit Marling
La giovane Rhoda Williams causa un terribile incidente stradale in cui rovina la vita del compositore John Burroughs, lasciandolo in coma ed uccidendo sua moglie e suo figlio. Intanto in cielo appare un nuovo pianeta, visibile ad occhio nudo, in tutto e per tutto uguale alla nostra Terra...





Another Earth, primo esperimento dietro alla macchina da presa di Mike Cahill, è un buon film che riesce, nonostante gli eccessi di una regia un po' troppo indie/tremolante, a ritagliarsi un suo spazio, una sua identità. Fallisce nel finale, nell'intento di voler stupire per forza. La base fantascientifica, gestita ottimamente per quasi tutta la pellicola, è un solido contesto nel quale articolare il dramma personale della protagonista: l'eterno binomio libero arbitrio/predestinazione ottiene nuova linfa vitale nella contestualizzazione della terra gemella. Siamo veramente destinati agli stessi errori in ogni situazione possibile? E se esistessero dei nostri doppi, porterebbero avanti le stesse scelte?





L'intuizione di “Terra 2” così minacciosamente vicina, resa da una fotografia straordinaria che ci regala l'immagine più bella di tutto il film (che non a caso sarà usata nella locandina), impone un senso di urgenza e di obbligata riflessione sulle proprie azioni. Il mondo non può non vedersi costantemente, come davanti ad uno specchio: la protagonista deve fare i conti con i propri demoni. Ed ecco che lo spunto macrocosmico diventa, di riflesso, la paradossale storia d'amore microcosmica tra la vittima e il suo involontario carnefice. Il progresso psicologico di Rhoda, vero perno del film, si impone violentemente tanto che lo spettatore è quasi portato a credere che Terra 2 sia solo un'invenzione onirica della ragazza, e il film la rielaborazione solipsistica dell'incidente iniziale. Nonostante le didascaliche e ridondanti interazioni familiari gestite in maniera eccessivamente superficiale (senza contare la ridicola figura dell'inserviente), il dramma di Rhoda è palpabile e coinvolgente. Purtroppo, l'equilibrio raggiunto si spezza nell'ultima scena.




Con violenza la fantascienza si impone come unico punto di vista accettato e fa crollare l'impostazione del film in un finale secco, tranciato e tranciante, che lascia spazio a numerose interpretazioni: sinceramente, non necessarie. All'incertezza emotiva Cahill preferisce il dubbio pseudorazionale che esige una spiegazione trascendente l'esperienza personale. La centralità di Rhoda si perde, l'interesse anche.
Da segnalare una bella colonna sonora, semplice ma appropriata, ed una buona prova attoriale di Brit Marling, alla sua prima esperienza in un lungometraggio. 


Brit Marling e Mike Cahill. Oltre ad essere, rispettivamente, protagonista e regista del film, entrambi hanno firmato la sceneggiatura.

domenica 21 luglio 2013

In the mailbox [8]: Cinema, Musica, Borraccia e Tristezza

Dopo un secolo di autocontrollo, ecco l'immancabile appuntamento con il reseconto dei miei acquisti. Hoplà!:

Si inizia con un bel pacchetto contenente tanti divuddì. La Eagle DVD ha pensato bene di fare dei supersconti sul suo catalogo per il periodo estivo, e che fai, non ne approfitti?



9 dvd, perchè se siete lettori affezionati e attenti vi ricorderete che avevo già acquistato Fino all'Ultimo Respiro e Essi Vivono, tutti appartenenti alla collana "I Film della Vita". Adoro questa collana, a partire dalla grafica della confezione molto gradevole. Il vero punto forte, però, è il booklet presente all'interno di ogni dvd curato dalla redazione di Duellanti. Breve ma densissimo di informazioni, curiosità ed approfondimenti. Duellanti eh, mica pizza e fichi.




Come se non bastassero questi dvd, la Eagle decide di superarsi. All'interno della scatola ho trovato anche un buono sconto di 5 euro per il prossimo acquisto e... una borraccia brandizzata Shadowhunters. Mah?!


WTF?!?

Infine arriva dall'america un acquisto viniloso. La versione strumentale di 12 Reasons to Die di Ghostface Killah.




Geniale che in questa versione il titolo e la tracklist siano tradotti in italiano, in omaggio al cinema horror del nostro paese. Il risultato è (volontariamente... credo) comico:




Peccato che ci siano stati problemi con la spedizione. Oltre ad aver impiegato quasi 2 mesi ad arrivare, non solo manca un ulteriore vinile che avevo ordinato, ma il vinile presente all'interno non è quello della versione strumentale. Soul Temple Music, me la pagherai cara (appena inizi a rispondere alle email)

Detto questo, mi scuso per il ritardo sulle recensioni di Futurama, vorrei portarle avanti, ma recensire un cartone animato ad episodi è più "strano" di quello che pensassi. Vorrei fare anche molte altre sveltine, soprattutto perchè i film appena arrivati sono tutti interessantissimi. Ma a voi?


OUT!

martedì 9 luglio 2013

Sveltina [4]: L'Uomo che Fissa le Capre



The Men Who Stare at Goats
Titolo italiano
Regia
Anno
Genere
Con
L'uomo che fissa le capre
2009
Commedia
George Clooney,
Ewan McGregor
Il reporter Bob Wilton è in cerca della storia della vita, per risollevarsi dalle continue delusioni lavorative e familiari. Decide allora di andare in Iraq, per sperimentare il brivido della guerra. Lì incontrerà Lyn Cassady, militare in pensione che sostiene di avere poteri psichici...






Un film che cerca di ritagliarsi un'identità da “commedia brillante”, sulla falsa riga dei fratelli Coen, ma fallisce ampiamente facendosi schiacciare dal peso del materiale di provenienza. Un'ottima prestazione di Clooney salva il film dalla mediocrità.






Sebbene ci si accosti alla visione con grandi aspettative, già dai titoli di apertura ci si rende conto che qualcosa non funziona. Il pretenzioso “based on a true story” è infatti sostituito da “more of this is true than you believe”. Cosa significa? Significa che si, la sceneggiatura è basata sull'omonimo libro, scritto nel 2004 dal reporter Jon Ronson, ma il film cerca di fornire un punto di vista diametralmente opposto a quello della sua fonte. Se l'opera di Jonson è un documentario/reportage sulle connessioni tra esercito degli Stati Uniti d'America e studi sulla possibilità dell'implementazione di poteri psichici in tattiche militari (che per quanto assurdo possa sembrare, non presenta nessun grado di finzione nella sua inchiesta), la pellicola di Heslov è pura fiction. Una commedia basata su queste premesse, con personaggi e situazioni pensate ad hoc per mettere in ridicolo un certo tipo di cultura New Age americana. Il problema è che gli sceneggiatori (complice forse la presenza dell'autore del libro) non hanno il pieno coraggio di distaccarsi dal materiale documentaristico, non riuscendo a imprimere fino in fondo il loro tocco. La pretesa dissacrante, tramite la messa in scena di personaggi fuori di testa, fallisce nel voler ribadire costantemente che “c'è più verità di quel che ci si aspetti”. Gli hippies sotto acidi sono ridicoli nei loro discorsi alterati, ma forse non hanno tutti i torti: gli indizi disseminati nel film, trovano la conferma nella scena finale. Le forze psichiche esistono, la paronoia complottista americana viene legittimata, ma tutto assume un sapore amaro. 


I militari incontrano la cultura Hippy.



Non si capisce bene la posizione del film, tra la volontà di strappare una risata e quella di stupire ribaltando le convinzioni. Tutto sarebbe funzionato in modo migliore, se si fosse scelto un approccio più semplice, meno fantascientifico. Sarebbe significato tradire il libro di Jon Ronson? Forse si, ma gli americani avrebbero bisogno ogni tanto di svegliarsi dai loro sogni. Sembra che per un determinato pubblico basti citare il “dark side” di Star Wars, il terzo occhio (tatuato sul petto...) e Timothy Leary per conferire carattere di verità ad una storia così assurda ed ignorante che non fa altro che chiedere a gran voce di essere derisa. Manca, all'americano medio, la capacità di astrazione e autocritica. Il film cerca di spingere in questa direzione, ma poi si accomoda troppo verso il suo pubblico e cerca di rassicurarlo. Negli USA, grande nazione basata sul precetto immaginifico del sogno, l' “american dream”, tutto è possibile. Peccato.


Bridges, Clooney e Spacey


Degne di nota le interpretazioni del cast, tra cui figurano i nomi di Jeff Bridges e Kevin Spacey. Su tutti, spicca il personaggio di Lyn Cassady interpretato da Clooney. Prova attoriale che centra in pieno le intenzioni della sceneggiatura, regala la scena della capra che da sola vale la visione del film. Peccato che, per ribadirlo ancora una volta, non basta un personaggio a portare avanti un'intera storia. Anzi, è proprio essa a depotenziarlo: il nevrotico hippy di mezza età, forse alla fine era veramente uno sciamano. Sparisce nel Sole, lascia un alone di msitero dietro a sé. Per me, rimane molto più forte nella concretezza del suo sguardo allucinato che cerca di uccidere col pensiero una povera capra.


Dark-Side.


giovedì 4 luglio 2013

Eraserhead



Eraserhead
Titolo italiano Regia Anno Genere Con
Eraserhead
1977 Body Horror Jack Nance,
Charlotte Stewart
Eraserhead presenta la “normale” vita di Henry Spencer, tipografo in vacanza in una città senza nome. La sua vita muta drasticamente quando scopre di aver avuto un bambino con la sua ragazza, Mary X...






Impossibile scrivere molto sul debutto cinematografico di David Lynch. Eraserhead è la materializzazione di un incubo. È la messa in scena di un disagio. Che senso ha discutere razionalmente di ciò che trascende la logica e si attacca all'impressione? Eraserhead va visto, non se ne può parlare.


 

 

 

 

Sul razionale


Vorrei poter recensire analiticamente Eraserhead. Analizzare scena per scena il lavoro di Lynch per mettere in evidenza ogni piccola sfumatura. Il difetto, supera la pochezza delle conoscenze tecniche (potremmo comunque comunicare in un nuovo linguaggio per comprenderci. Certo sarebbe più laborioso ma.. perché no?) e approda alla vera mancanza: la voglia. Il geniale surrealismo razionale di Lynch chiede la decomposizione del contenuto in nome di una delineazione di senso. Ma non ce la faccio. Sono convinto che, seppur in maniera minore in Eraserhead rispetto agli ultimi tre film, quella della razionalizzazione, sia una “trappola”. Bisogna sapersi lasciare andare, godere nel sentirsi sperduti di fronte alla potenza comunicativa di un certo tipo di cinema.


Jack Nance si impegnò molto nell'interpretazione di Henry. Data la produzione travagliata, ci furono interruzioni anche di un anno tra una ripresa e l'altra. Anche nei lunghi periodi di pausa, non perse mai di vista il suo personaggio.


 

Libero gioco di cinema e disgusto


Voglio parlare quindi della sensazione complessiva finale: il disgusto. Ogni singolo elemento è volto al raccapriccio di chi subisce la visione. Questo senso di inadeguatezza viene trasmesso non attraverso la messa in scena dell'orrore alieno ma della mutazione del familiare. Tutto è riconoscibile in questo film, ma nulla è avvicinabile: paesaggi fantasma, trasfigurati dalle desolazione meccanica dall'avvento dell'industria, convenzioni sociali interrotte da pianti e spasmi, espressioni facciali perse in volti decontestualizzati. Si sperimenta il rigetto perché ci si guarda allo specchio e ci si individua per quello che si appare. L'odio dello sguardo fisso che riesce a cristallizzare l'informe strato incosciente che ci guida dal profondo. Se in Blue Velvet e Twin Peaks Lynch cerca di far emergere il marcio collettivo, il macabro motore sociale nascosto agli occhi della comunità che desidera solo l'auto-conservazione, Eraserhead agisce su un livello molto più intimo. È un viaggio dentro ad una testa grande come un pianeta, un'esplorazione degli angoli più abbandonati dell'Io. Ciò che la testa cancella: il terrore della realtà deforme che si appropria della quotidianità. Questo è Eraserhead: emersione del nascosto, l'emancipazione della sporcizia.


Cosa c'è sotto?


Primogenito


Eraserhead è per Lynch quello che l'infante è per Henry: un figlio malato, uno sgorbio non voluto. Primogenito abominevole che necessita di amore ma non può che suscitare sguardi di perplessa distanza, ripugnanza, odio. È lì che piange, rifiuta il cibo, è perennemente malato, non ha nulla di umano. È la repulsione verso la sessualità, quell'intimo sentimento di sporcizia e deviazione che accompagna ogni nostro impulso necessario ma abominevole allo stesso tempo. Spermatozoi ovunque, costellano questo concepimento difettivo che mostra l'incapacità di un approccio sincero al sesso e al rapporto con l'altro. Il prodotto dell'unione, il bambino, è ciò che disgusta tutti quanti. Immobile per tutto il film, non può che non attirare costantemente l'attenzione su di sé con dei vagiti spettrali. Il monito è ineludibile. La perversione dell'atto sessuale implica la fasciatura, l'ignoranza, una sovrastruttura che copra l'inesplicabile repulsione, il disgusto della carne nuda. L'uccisione del bambino tramite la sua esposizione, rivela la sottomissione ad un inconscio castrante che predica la risoluzione del conflitto (possibile, appunto, solo negando il proprio istinto): "In Heaven everything is fine"



Al giorno d'oggi è tutt'ora sconosciuto il metodo con cui fu costruito il mostro. Si ipotizza che per le interiora sia stato usato del coniglio.




Riporto qui, per correttezza ma anche per interesse, la fonte da cui mi sono ispirato per queste riflessioni:

In his book David Lynch Decoded, Mark Allyn Stewart proposes that the Lady in the Radiator is in fact Spencer's subconscious, a manifestation of his own urge to kill his child, who embraces him after he does so, as if to reassure him that he has done right.


Mura impenetrabili


Molto interessante notare la rappresentazione dell'abitazione di Henry. Gli spazi interni sono tutti claustrofobici ma c'è qualcosa che va ben oltre la semplice spettralità nel suo appartamento. Unico ambiente, finestre murate. È chiaramente la proiezione di una chiusura, di una mancanza. Ma se gran parte è occupata dalla piccola ma ingombrante presenza del figlio e dei suoi lamenti, il resto è pura ritualità. Ogni elemento è significativo e universale in quanto totalmente autonomo dal resto della composizione. Non c'è molto da spiegare: un letto verso l'inferno, un teatrino dentro al termosifone, pentole piene d'acqua dentro agli scaffali, piante morte ovunque. L'autismo di Henry supera il suo sguardo perso, il suo goffo modo di vestire (tra l'altro a me ricorda un sacco Charlotte/Tramp) e si proietta spazialmente nel suo mondo, nei suoi confini. Tutto è sorprendente, ma allo stesso tempo non c'è una via d'accesso. Il contatto finale con la realtà, il desiderio di possedere una donna, significativamente, avviene solo tramite il timido sbirciare attraverso il buco della serratura. Vince l'isolamento (accompagnato dalla gelosia), il peso della sessualità viene rifiutato: vince la morte.




Esplosione



Malessere sonico


Ciò che non va assolutamente sottovalutato in Eraserhead è il lavoro svolto con la colonna sonora. Il devastante impatto visivo è fortemente (forse necessariamente?) interconnesso con gli stimoli uditivi proposti. Un sonoro agghiacciante mette, ancora una volta, alla prova la capacità di resistenza dello spettatore. Sono i rumori stessi a proporre ed indicare gli spunti narrativi in un film sostanzialmente senza dialoghi. Non ci troviamo, però, di fronte a canzoni o temi ricorrenti: l'audio presenta suoni martellanti, white noise, rumori indecodificabili. Non c'è mai veramente un attimo di silenzio: lo sfondo è continuamente ricoperto da un fastidio, da un disagio sonoro che quasi viene accettato inconsciamente, data la sua subdola presenza. Immagini e sonoro sono un unicum inscindibile in Eraserhead, dove tutti i sensi dello spettatore sono portati al punto massimo di stress, al limite ultimo di sopportazione. Il film è, in un ultima analisi, più di una rappresentazione surrealista della realtà onirica. Eraserhead è più di un semplice incubo, è una vera e propria tortura.






Buon appetito.

martedì 2 luglio 2013

Sveltina [3]: Mr. Nobody



Mr. Nobody
Titolo italiano Regia Anno Genere Con
Mr. Nobody
2009 Drammatico
Fantascientifico
Jared Leto,
Diane Kruger
Nell'anno 2092, Nemo Nobody, ultimo uomo mortale ormai ultracentenario, si ritrova a raccontare la sua particolare vita ad un giornalista. Tutto mentre è il protagonista di un reality show dove è il pubblico a decidere le sorti della sua esistenza...




Mr. Nobody è un'opera mastodontica che tiene incollati allo schermo per tutta la sua durata, nonostante la sua lunghezza non proprio agevole. Fantascienza e drammi esistenziali coesistono in una storia interessante raccontata attraverso una perfetta padronanza della macchina da presa. La pellicola si presenta come un'esperienza unica che però non sembra spingersi fino al limite delle sue possibilità. Manca, alla fine, la possibilità di un vero coinvolgimento da parte dello spettatore di fronte ad un film che non ammette imperfezioni.



 

Aut Aut


Tema centrale del film è la scelta, intesa come azione significativa. Attenzione: non un punto di rottura che provoca un cambiamento di stato da una situazione A ad una B, ma in quanto punto di dilatazione e di creazione. Il senso ultimo del film risiede nel dimostrare che la scelta non è mai esclusiva, ma che l'essere ha la stessa validità di ciò che non è. Nessuna scelta esiste veramente, tutto è possibile e per questo non c'è differenza tra lo scorrere degli eventi e ciò che non avviene concretamente. La verità massima quindi risiede nell'immaginazione e nel suo potere poietico: quale mezzo migliore del cinema per esprimere questo potenziale? Ogni realtà va accettata in quanto pensabile. Non è un caso che il film attribuisca il medesimo valore ad ogni sua storia interna: la stessa fantasia di un viaggio su Marte è plausibile proprio come un amore mai sbocciato.


Sliding Doors


Multi-Dimensional-Quantistic-Love-Story


Il coraggio della pellicola risiede nel voler proporre teorie scientifiche e filosofiche avanzate, senza mai sfociare in tecnicismi, ma rimanendo ancorato ad un impianto drammatico/fantascientifico. Così dilatazione dell'universo e meccanica quantistica vengono agevolmente riportate sul piano di una storia d'amore... multidimensionale. La complessità dei temi trattati è gestita egregiamente, tanto che tutte le contraddizioni e tutti i punti interrogativi sorti nello spettatore, dovute necessariamente dall'inesplicabilità di una narrativa non lineare, si risolvono nel finale. Ogni elemento viene ricondotto proprio a quell'immaginazione di cui accennato sopra. Ciò, a conti fatti, crea una coerenza di fondo apprezzabile, ed annulla qualsiasi rischio di tensione iper-razionalistica dello spettatore che vuole necessariamente una soluzione ancorata al nesso causale. Sotto questo aspetto, Mr, Nobody se la cava perfettamente. Riesce a rendere credibile il suo universo per poi farlo collassare su sé stesso senza bisogno di una spiegazione logica: la sceneggiatura, seppur in modo inaspettato, riesce a chiudersi nel più degno dei modi.


Scelte: infinite possibilità.


Proprietà di linguaggio


I problemi, nascono sotto un altro punto di vista. La densità di contenuti viene accompagnata da una presentazione formale ineccepibile. Mr. Nobody è una rappresentazione stratificata e complessa del significato della vita. Gli unici punti di appiglio che lo spettatore trova li deve saper riconoscere nel linguaggio cinematografico. Nella potenza dell'immagine risiede più significato di un qualsiasi discorso sulla dilatazione dell'universo o sull'entropia for dummies che ci viene proposto dal protagonista. I suggerimenti sono infiniti: dalle scelte cromatiche che accompagnano e contraddistinguono ogni realtà possibile alle scelte di montaggio che creano un perfetto fluire degli avvenimenti nonostante la narrativa fortemente stratificata e sconnessa. Menzione d'onore alla colonna sonora anch'essa implementata perfettamente nella storia (la transizione temporale con la sovrapposizione delle due versioni di Mr. Sandman è un ottimo esempio). Per non parlare del lavoro svolto con la scenografia e la fotografia che creano ambienti così surreali e familiari allo stesso tempo da tenere sempre altissima l'attenzione. Tra split screen, effetti speciali, sequenze invertite e cambi di ambientazione senza stacchi di montaggio (perdonate la pochezza espressiva, ci sto lavorando/studiando sopra), lo spettatore viene continuamente bombardato. L'immaginazione ha la sua rappresentazione formale perfetta.


Esempio di suggerimenti cromatici. Il film parla ancor prima di raccontarsi narrativamente.


...Spotless Mind


La problematicità avviene proprio in questa sovrabbondanza di contenuto e di perfezione tecnica. Il confronto con Eternal Sunshine of the Spotless Mind è inevitabile. Si nota subito una somiglianza di approccio nell'uso degli effetti speciali tra i due film, data dal fatto che condividono lo stesso visual effects supervisor: Louis Morin e la sua compagnia Modus FX.
Rischiando di sfociare nel gusto personale, ritengo Eternal Sunshine un prodotto ben più fruibile sebbene molto più limitato. Ma è proprio questa sua limitatezza a tracciare i confini di una forte identità personale. Il film di Michel Gondry parla ancor di più di Mr. Nobody tramite l'uso degli effetti speciali. Ben più della scelta, è il tema del ricordo a giovare incredibilmente delle possibilità offerte dal cinema. La goffa storia d'amore tra Joel e Clementine risulta più immediata e meno forzata di questa grandissima epopea filosofica. Probabilmente i due film sono due facce della stessa medaglia, ma il primo è genuino e rilassato, non c'è spazio per una ricerca esasperata (ed esasperante). Mr. Nobody, invece nelle sue due ore e mezza (versione director's cut) sembra voler stupire per forza lo spettatore sovraccaricandolo di informazioni ed effetti speciali. La perfezione si paga: si sente la mancanza di una certa spensieratezza, di alcune ingenuità di fondo che portano alla meravigliosa sincerità di un Eternal Sunshine. In alcuni punti, soprattutto nella parte centrale, si arriva a pensare che Mr. Nobody, tecnicamente ineccepibile, sia un prodotto senza cuore, troppo impegnato ad impressionare per riuscire a raccontare la semplicità essenziale di quello che sta cercando.


Nel cuore.

lunedì 1 luglio 2013

SETTIRAMA [1]: 2-D Blacktop [s07ep14]

Amo Futurama. Lo considero un cartone intelligente, sveglio e divertente. Ma allo stesso tempo romantico. Un prodotto in grado di appassionare ed emozionare senza mai sfociare nel ridondante o nel patetico. Ovviamente il pubblico americano non capirà mai la sua grandezza, e per questo ci troviamo alla sua imminente (seconda) cancellazione. Finita la seconda parte della settima stagione, Comedy Central non ha stanziato i fondi per la produzione di episodi futuri. Queste mini-recensioni mi (o ci?) accompagneranno verso l'inevitabile destino di una delle serie più "underrated" di sempre. Peccato. Si inizia.




Si apre così la seconda parte della settima stagione di Futurama. 2-D Blacktop non è certamente un episodio indimenticabile ma riesce a racchiudere tutte le caratteristiche che rendono Futurama quel che è.
La trama principale si configura come una rielaborazione parodistica dei street racing film alla Fast and Furious con l'aggiunta di quell'impianto futuristico-fantascientifico che il cartone riesce sempre a implementare alla perfezione come base del proprio universo. Ed è così che Farnsworth installa nella sua appena rinominata “Bessie” un apparecchio per il “dimensional drifiting”: il NOS di Vin Diesel ripensato alla luce della meccanica quantistica.


"Sayonara, Tokyo Driftwood!"


Nel mentre Leela è impegnata con il nuovo mezzo di trasporto ufficiale con cui la Planet Express effettua le sue consegne: un sobrio parallelepipedo grigio così sicuro da risultare noioso. Pilota automatico, cinture di sicurezza, e dispositivi anti-bender: la nuova navicella semplifica così tanto la vita da rendere le avventure di una volta, pura quotidianità. Leela diventa così una sorta di mamma single/casalinga frustrata che vive un rapporto di odio verso la macchina pensata per il bene della famiglia, e non per le sue esigenze.


Dopo la spesa Leela passa prendere Fry e Bender al Big Boy Karate. Gelato per tutti.

 
Anche se molto divertente il contrasto Leela alla guida della nuova navetta della Planet Express contro il ringiovanito Professore ormai leader di una gang di street racers, il colpo di genio arriva nel momento del confronto diretto tra i due. Non solo la pista è un nastro di Mobius, ma il risultato distrugge definitivamente la tipologia di film derisa: alla pomposità delle gare clandestine in strada, tra effetti speciali, veicoli appariscenti e chi più ne ha più né metta, Futurama contrappone la retrocessione tecnologica. Altro che occhiali 3D per un cinema dedito solo a stupire, qui i protagonisti rimangono intrappolati in una realtà bidimensionale.


"Ahahah... You kids and your topology!"



La serie ancora una volta riesce ad adattarsi ad un nuovo modello grafico. Non solo è proposto un modo alternativo in cui viene disegnato l'episodio stesso, ma questo elemento diventa funzionale allo svolgimento della trama. Così come in Reincarnation, episodio della sesta stagione, ancora una volta Futurama si dimostra più intelligente di quello che si potrebbe immaginare, arrivando a ri-pensarsi criticamente a partire dal suo stesso stile di presentazione. E il tutto, spiegato semi-coerentemente (guardare per credere) con discorso pseudo-scienticifi proposti in modo così semplice e naturale (il fatto che il tutto si svolga fra 1000 anni aiuta di molto la sceneggiatura, sotto questo punto di vista) da far sfuggire quasi la loro complessità di fondo.


2-D


Inutile a dirsi l'episodio è confezionato con dialoghi brillanti dal primo all'ultimo minuto e i personaggi, seppur non tutti sfruttati al massimo, restano sempre incredibilmente affascinanti. Degno di nota lo scambio di battute all'inizio che ancora una volta dimostra una grande padronanza della lingua inglese (e dei suoi limiti) da parte degli sceneggiatori. Uno degli aspetti che continua ad affascinarmi di questa serie è la sua creatività linguistica (che va ben al di là della semplice volgarità di South Park) che conferisce uno spessore inarrivabile ai personaggi e alle gag.


PIMPAROO


Episodio promosso, ma Futurama può e DEVE dare di più. Aspetto fiducioso.