Più che testimone, il
cinema trascende la sua intenzione iniziale e diviene testamento.
L'immagine supera la morte, vince l'abbandono. La scomparsa
presuppone l'interruzione del dialogo. Ma è proprio in questa
inevitabile conclusione che è affidato allo spettatore il compito
più grande: il ricordo, la re-immaginazione del vissuto attraverso
il lascito dell'immagine.
Casualmente mi sono imbattuto in due opere molto diverse tra di loro: "Al di là delle nuvole" e il segmento “Che cosa sono le nuvole?” diretto da Pier Paolo Pasolini, parte del film “Capriccio
all'Italiana”. I due film hanno alcuni punti in comune. Oltre
all'evidente presenza delle “nuvole” in entrambi i titoli,
riferimento che non presuppone però una coincidenza
tematico-narrativa, a livello formale sono pellicole episodiche e
collettive, ovvero dirette da più di un regista. Per il primo
abbiamo l'accoppiata Wim Wenders – Michelangelo Antonioni,
dall'altra si affiancano sei registi: Mauro Bolognini, Mario Monicelli, Pier Paolo Pasolini, Steno, Pino Zac e Franco Rossi, . La coincidenza più importante è che
si tratta di due opere che segnano la fine di una carriera: l'ultimo
film diretto da Antonioni e l'interpretazione finale di Totò.
"Al di là delle nuvole": una ricerca senza fine
Nato dalla volontà di
Wim Wenders di far tornare alla regia Antonioni nonostante le sue
precarie condizioni fisiche, Al di là delle nuvole è un film
agonizzante. Quattro storie d'amore impossibili, struggenti ancor
prima del rapporto stesso, sono unite meta-narrativamente dal vagare
senza direzione di un regista (John Malkovich) in cerca di ispirazione. Il
fallimento risiede nell'incapacità di relazionarsi attivamente alla
vita. Le fotografie scattate che danno il via alle storie, non
riescono ad animarsi realisticamente. La mancata capacità di
relazionarsi dei protagonisti è il sintomo, e non l'intenzione, di
un film che non è in grado di cogliere il fluire degli eventi.
L'unica cosa che riesce ad offrire sono dialoghi freddi, senza reale
interazione, un vuoto parlare pseudo-filosofico in cerca di una
verità che non potrà mai raggiungere. I corpi recitanti sono così
pesanti, a tratti degli automi, che sono incapaci di elevarsi, e il
volo finisce ben prima di raggiungere le nuvole.
È nella figura del
regista che il film trova il suo riscatto: personaggio
autobiografico, riesce a racchiudere un'intera poetica con le sue
ultime parole. L'incessante desiderio di andare oltre, di disvelare
il mondo attraverso quell'infinito mezzo espressivo che è il cinema,
questo è il vero compito di Antonioni e di chi condivide il suo
mestiere. La ricerca è senza fine, ma produce risultati incredibili.
Anche in un grandissimo intoppo, nella mistificazione più rigida, è
la volontà autoriale a presentarsi in tutta la sua voglia di essere:
e così per sempre.
"Che cosa sono le nuvole?" : il tragico palcoscenico dell'esistenza
In 20 minuti
rappresentare l'esistenza intera. Non cercare una soluzione, una
chiave interpretativa, ma tutto l'essere nella sua semplicità
imperscrutabile. Un palco, degli spettatori, una tragedia sempre in
esecuzione, dei burattini, un burattinaio, uno spazzino, la discarica. I punti di vista sono
infiniti, gli stessi attori non sono convinti dalle decisioni prese dai loro
personaggi, ma non per questo si fermano. La vita va avanti, e la
verità è proprio questa: nulla si ferma, tutto continua.
Nell'incapacità di eludere il contrasto, l'incomprensione, la
sofferenza, qui risiede la vita, ma anche la morte. Tutti gli estremi
sono riconducibili ad un'unica unità, crolla qualsiasi volontà
interpretativa. Totò è la, per sempre. Nella totale identificazione
con Iago, meschino e verde di invidia nella vita ma, allo stesso tempo, genuinamente umano dietro le
quinte. Il suo ultimo ruolo non poteva che essere questo. Ogni
sentenza un addio, ma ugualmente una mano tesa verso il
futuro, un aiuto a vivere per chi verrà dopo di lui. Totalmente
assorto nella recitazione, non è più Antonio De Curtis, ma
l'immagine ricreata in quell'istante, in questo corto, in ogni attimo
della sua carriera. Muore, così come nella vita. Nell'oblio della
discarica, putrefazione della storia, solo allora può osservare le
nuvole: straziante, meravigliosa, bellezza del creato.
"Eh figlio mio... Noi siamo in un sogno, dentro a un sogno" |
Ci rivedremo là, tra le nuvole
Due film diametralmente
opposti, uno un pasticcio, l'altro un capolavoro di poetica inserito
in una simpatica commedia (ma niente più). Poco importa, li sento
così vicini. Sono solo due esempi dell'inesauribile potenza poietica
del cinema, che può donare l'immortalità. È nella creazione che
l'uomo si trascende. È il cinema che ripaga lo sforzo e, attraverso
l'immagine, garantisce la voce, la possibilità di esprimersi a chi è
in grado di trasmettersi nello spettatore, evitando così
l'inevitabile: l'interruzione più grande di tutte. La volontà di
Antonioni vivrà per sempre nelle parole di Malkovich che sparisce
dietro la finestra, l'umanità di Totò per sempre rafforzata nella
mistica saggezza donatagli da Pasolini. Le nuvole, così come nel
primo film, si superano con un aereo meccanico, ma non accade nulla.
Non vanno oltrepassate, vanno osservate: solo così si esce da sé
stessi.
"-Cosa senti dentro di te?
Concentrati bene, cosa senti, eh?
-Si si, si sente qualcosa
che c'è!
-Quella è la verità...
Ma shh... Non bisogna rovinarla. Perché appena la nomini, non c'è
più"
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