Con lo “Sceicco Bianco”
Fellini ha finalmente il totale controllo alla regia di un film, e
dirige così la sua prima opera autoriale. Rispetto a “Luci del
Varietà” sono presenti dei netti miglioramenti. La sceneggiatura,
in primis, è molto più ragionata, e presenta personaggi
approfonditi, non semplici macchiette. In soli cinque minuti di
dialogo inquadriamo subito il protagonista interpretato da Leopoldo
Triesti, e la sua completezza non può che servire da impronta a
futuri personaggi comici (ad esempio, è palese quanto si sia
ispirato Verdone a questo film nel concepire Furio Zoccano in Bianco
Rosso e Verdone e in tutte le sue incarnazioni successive). Anche da
un punto di vista registico, Fellini esibisce una grande
consapevolezza del mezzo nonostante sia al suo esordio: l'autore
gioca con il linguaggio filmico con grande maestria, arrivando a
girare scene di un'incredibile fluidità (la messa in scena del
fotoromanzo), e ci regala uno sguardo in macchina di Ivan Cavalli, il
protagonista, quasi ad anticipare di qualche anno la rivoluzione
francese della Nouvelle Vague.
Il perno centrale, come
nel suo lavoro precedente, è costituito dal dualismo tra realtà e
rappresentazione, vita e sogno, dove la fantasia e l'arte sono il
ponte tra l'immanente e il trascendente. È molto interessante notare
la progressione tematica del film. Inizialmente viene affermato che:
“-La vera vita è
quella dei sogni”
“-Io sogno sempre. Non
c'è altro da fare laggiù. Cosa vuole, gente volgare”
Fellini mette in scena
perfettamente la collisione tra questi due piani, che si vorrebbero
separati, ma risultano tristemente attigui: il sogno è la
continuazione del reale. La volgarità richiamata dalla protagonista
viene vissuta proprio nella partecipazione alla creazione del sogno.
Ancora una volta viene messa alla berlina la grottesca caricaturalità
dell'intrattenimento di massa, quella forma d'arte moderna pensata
per tutti, prodotta da tutti. Significativo che il decadimento
dell'illusione non venga ancora esplicitato attraverso il cinema, ma
è da ricordare che Fellini aveva lavorato nella produzione di
fotoromanzi prima di lavorare nel mondo del grande schermo, quindi la
storia può assumere ancora un'ulteriore livello di validità, di
realtà.
Dietro al tanto
fantasticato Sceicco Bianco, non può che prender vita il mediocre
(ma magistrale) Alberto Sordi, indimenticabile simbolo di un'Italia
sostanzialmente povera di spessore. Il crollo del sogno corrisponde
all'irruzione della realtà, alla violenza fisica la consapevolezza
che ciò che viene creato per la propria immaginazione è in realtà
tarato per poter appartenere a più individui possibili. Si accetta
di viaggiare verso l'ignoto con i personaggi, ma si preferisce il
suicidio al dover tornare con gli attori struccati, con le persone
volgari.
“La vera vita è quella
del sogno. Ma a volte il sogno è un baratro fatale”
Articolo davvero molto interessante... solito eccellente lavoro, Michele!
RispondiEliminaTroppo buono come al solito...
EliminaSto cercando di ritornare a scrivere con regolarità, quindi sacrifico un po' la lunghezza ma almeno pubblico qualcosa. Ps: la scuola di cinema sta andando alla grande :)