« Recensisci Il
Grande Lebowski.»
« Dai, un film
così bello ed importante?»
« Mi ha fatto
schifo.»
« Cosa?!? Ma come,
c'è il Drugo che...»
« Mi ha fatto
cagare.»
Se demolire qualcosa di
sgradevole è uno degli atti più naturali, e risultare simpatici nel
farlo è di una semplicità sconcertante, la situazione opposta mette
in crisi. Parlare male di qualcosa che ci è piaciuto non è una
semplice forzatura, è proprio impossibile. Lo metto subito in
chiaro: Il grande Lebowski è un ottimo film. È divertente, fa
ridere. Insomma: funziona. Il rigido H., committente di questa
recensione, non riesce a capire cosa ci sia di simpatico nel Drugo e
nella sua strampalata avventura. Questo, è un problema. Perchè, ok:
i gusti sono gusti, non è bello ciò che è bello ma è bello ciò
che piace, e tanta, TANTA, altra saggezza popolare, ma in quanto
fervente sostenitore della presenza di un certo criterio di
oggettività nel mondo, che trascende i nostri sensi e la nostra
opinione (grazie, Immanuel), non posso certo accontentarmi del
grandissimo classico“la pensiamo in modo diverso, pace”. Nel
rispetto dell'opinione altrui, non si può neanche spiegare come e
quando bisogna ridere, è un discorso che non ha senso. Si, insomma,
secondo episodio de “solo su richiesta” e già mi sono
impantanato. Cosa fare? L'unico atto possibile è quello di indagare
il punto di vista con cui si approccia il film. Due piccioni con una
fava: rispetto il giudizio del severo H. e rendo giustizia al
contenuto dell'opera dei fratelli Coen. Semplice no? In realtà no.
Recensire un giudizio su una pellicola, per correggerlo e ricavarne
così una nuova recensione. Argh. Malefico H., hai complicato le
cose.
Solo su richiesta: Il Grande Lebowski
The Big Lebowski
|
||||
Titolo italiano |
Regia |
Anno |
Genere |
Con |
Il grande Lebowski |
Joel Coen Etan Coen |
1998 |
Commedia |
Jeff Bridges, John Goodman |
Jeff “Drugo” Lebowski è uno slacker, un vero
parassita della società. Tra una partita a bowling e uno spinello
la vita, passata in accappatoio, scorre senza pensieri. Un giorno
però, tornando a casa, è vittima di un'aggressione: due loschi
figuri pisciano sul suo tappeto. In cerca di un riscatto morale,
il Drugo si caccerà in una storia ben al di furoi della sua
comprensione...
|
Non essere apprezzati: a volte capita. |
In principio, non rideva nessuno
Partiamo da un dato di
fatto. Il grande Lebowski alla sua uscita, è stato accolto molto
freddamente: pochissimi incassi e semi-bastonato dalla critica. Il
poco-divertito H. può tirare un sospiro di sollievo: non è stato
certo l'unico a non apprezzare il film. Il problema nasce dal fatto
che, col passare del tempo, la pellicola è divenuta un “cult-movie”.
Un fenomeno non solo americano, ma internazionale. Il suo gradimento
non è legato a un determinato contesto culturale. Si potrebbe
pensare “bowling, slacker, cowboy e Tara Reid: puoi ridere solo se
sei uno yankee”, ma niente. Piace proprio a tutti. La difficoltà
iniziale però rimane, e va segnalata: non è un film così immediato
come si potrebbe pensare. Va inquadrato e contestualizzato,
altrimenti qualcosa si perde.
Attento che ora arrivano i paroloni difficili... |
Idiosincrasia e percorso onirico
Lo ammetto: è scrivendo
questo post che mi sono imbattuto nel termine “idiosincratico”.
Non lo scrivo per darmi delle arie pseudo-intellettuali, ma proprio
perché, come termine, descrive alla perfezione il Drugo. In
letteratura il personaggio idiosincratico è quello che si genera dal
nulla: non segue nessuno schema prefissato, non si riallaccia a
nessun topos preesistente. Non è né un eroe, né un anti-eroe: non
ha precedenti. Nasce qui, molto probabilmente, l'avversione ed il
distacco, o meglio, la non comprensione dell'infastidito H. Però la
creazione idiosincratica va oltre l'iniziale senso di smarrimento
dettato dalla mancanza di punti di riferimento: l'antipatia si
rovescia, incredibilmente, nella familiarità. Si crea una grammatica
ed un contesto, il nuovo linguaggio viene accettato. L'identità
istituita si muove su un piano trasfigurato, prettamente onirico.
Anche su un livello generale, limitato in partenza al protagonista ed
ora sfociato nella totalità della struttura narrativa, il
riconoscibile e l'estraneo continuano a coesistere. Così la noia
esistenziale, immersa nello squallido contesto culturale della Los
Angeles fine anni 90, viene trascesa in una sur-realtà che
destabilizza. La partenza e l'arrivo sono una partita a bowling, il
percorso è l'assurdità più totale (da qui la centralità delle due
scene oniriche). Che l'abitudinario H. ami viaggiare solo su binari
già tracciati?
Immaginario monotematico. |
Presentano: i fratelli Coen
Accettate le premesse
(non necessariamente in modo conscio), il film si rivela incredibile
in ogni suo aspetto. I fratelli Coen, alla regia, non deludono
affatto (le già menzionate scene oniriche sono visivamente
impressionanti). Ottimo cast e fantastica colonna sonora (la
presentazione di Turturro con “Hotel California” versione
spagnola in sottofondo, è geniale). Sostanzialmente è un film che
ha un ritmo forsennato che tiene incollati allo schermo per tutta la
durata: 120 minuti non sono certo pochi, ma non si accusano
minimamente. Saranno i personaggi “idiosincratici”, o forse
l'alchimia tra di essi che crea dei dialoghi assurdi ma allo stesso
tempo divertenti: in ogni caso, non ci sono momenti di stanchezza.
Così tra una pisciata su un tappeto e un finto rapimento andato
male, succede di tutto: una miriade di personaggi e di situazioni si
succedono senza un attimo di pausa. Tutto poi assimilato dal punto di
vista “rallentato”, un po' per scelta di vita, un po' per
l'eccesso di spinelli, del protagonista, interpretato da Jeff Bridges, vera colonna portante del
film.
A parte questi brevi
accenni di carattere generale, non analizzo nessuna scena in
particolare perché sarebbe un torto parlare di ciò che,
sostanzialmente, va visto. Non mi sento di mettere in evidenza né un
punto particolarmente riuscito né uno che fa storcere il naso: nel
complesso, ritengo non ce ne siano.
"Lenin, non Lennon!" |
Quindi?
Il punto di vista
dell'indispettito H. è comprensibile, ma non necessariamente condivisibile: Il
Grande Lebowski non è il capolavoro che molti, con un eccesso di
entusiasmo, ritengono. Non è, però, neanche un film stupido e privo
di idee. Anzi, in questi termini, ne è sovrabbondante. È proprio
questo suo eccesso di stile, questa sua forte caratterizzazione, che
lo porta ad essere una storia non per tutti. Vanno accettate, o
meglio, riconosciute, delle premesse, e da lì può iniziare
l'apprezzamento. Che diverta o meno, si cade, purtroppo, nel gusto
personale. Non si può, però, negare la validità ad un prodotto
confezionato in maniera superba che riesce, in un mare di mediocrità,
a rivendicare una sua identità precisa.
Gentile signor H., si
ravveda.
Indimenticabile |
Concordo con H. XD
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