Sebbene sia un po' una forzatura
cercare di delimitare in compartimenti stagni ciò che vive nel
compenetrarsi di diversi elementi, che formano vere e proprie realtà
a sé stanti ma allo stesso tempo necessitanti l'una dell'altra, un
ottimo modo di indagare Evangelion nella sua essenza a me più cara,
è quello di individuare tre piani narrativi\interpretativi
fondamentali. La prospettiva origina la seguente distinzione:
- Il livello immediato, superficiale. La narrazione in sé, l'avventura, i combattimenti. Il livello pop
- Il livello intermedio, ornamentale. Un piano fuorviante che arricchisce la narrazione ma la caratterizza necessariamente, muovendosi su un terreno di riferimenti biblici. Il livello del simbolismo evangelico, o più semplicemente il livello evangelico
- Il livello più profondo, nascosto ma permeante. Ciò che caratterizza l'essenza ultima dell'opera, la massa informe e pre-concettuale alla sua base. Il livello psicologico
Ribadisco, ancora una volta, la fondamentale importanza di ciascuno
dei livelli e la loro necessaria interconnessione. Il livello
evangelico infatti è una sorta di medium tra i due poli opposti.
In cosa si caratterizzano questi 3 livelli?
Il livello pop
È la regione superficiale dell'opera. In essa ascrivo l'impianto di
base ovvero l'appartenenza al genere dei mecha con il riproporsi dei
suoi topoi più classici: protagonisti di giovane età, ognuno degno
rappresentante di uno stereotipo diverso dell'individuo giapponese,
fan service (prevalentemente a contenuto sessuale) in quantità
opprimenti etc. etc.
C'è da dire però che Evangelion fu un grande innovatore sia da un
punto di vista prettamente estetico che narrativo. Per la prima parte
della serie ci ritroviamo davanti al top dell'animazione giapponese
del 95/96, con un design dei mecha e degli angeli che, nella sua
peculiarità, ha fatto storia. Inoltre le sequenze action delle battaglie, seppur seguendo
il collaudato schema alla “yattaman” (riassumibile in: nemico
----> difficoltà ----> possibile sconfitta ---->
capovolgimento della situazione ----> vittoria) proponevano approcci
tattici e soluzioni mai viste prima. La narrazione viene farcita poi di situazioni e concetti propri della società moderna (Asuka e Shinji che sconfiggono un angelo allenandosi con un rhythm game) Nel piano della mera
presentazione, dunque, Evangelion si dimostra essere rivoluzionario e
moderno, pur rimanendo saldamente attaccato alle basi consolidate
dalla tradizione.
Il livello evangelico
Con
il secondo livello si inizia ad intravedere lo scarto concettuale.
L'anime infatti è letteralmente ricoperto ed imbevuto di riferimenti
biblici. A quale scopo? Un primo suggerimento può arrivarci da
Kazuya Tsurumaki, aiuto regista di Hideaki Anno, che,
citando quanto riportato su wikipedia, afferma che
“they originally used Christian symbolism only to give the project a unique edge against other giant robot shows, and that it had no particular meaning, and that it was not meant to be controversial (like it was)”
Il riferimento alla mitologia cristiana
è quindi un puro ornamento senza alcun significato concettuale di
fondo? La verità, a mio avviso, risiede nel mezzo. La scelta di
questa determinata religione è sicuramente da un lato, come indica
Tsurumaki, una scelta prettamente pop, che ribadisce ancora una volta
l'intento sincretico dei creatori di creare qualcosa imbevuto di
tradizione ma allo stesso tempo profondamente innovativo – e quale
modo migliore se non quello di far compenetrare l'apice della cultura
di massa orientale con gli albori della vita spirituale occidentale?
- e non si colloca su un piano specificamente essenziale: partendo
dal titolo, passando attraverso gli angeli e la sconfinata miriade di
simboli mutuati dal cristianesimo, tutto questo è puramente
accidentale.
Approcciarsi all'opera con intenzione esegetica, religiosa in senso
stretto, è un gravissimo passo falso che porta assai lontano dal
vero nucleo concettuale. Ma al tempo stesso, vera arma a doppio
taglio, il livello evangelico è una preziosissima informazione sul
carattere trascendentale dell'opera: trascendimento che non si
configura in una meta-fisica, in una riflessione che scavalca il
sensibile per sfociare nel divino, ma anzi si colloca all'interno
della fisicità dell'uomo, nel suo intimo più profondo. L'albero
della vita, che appare nella sigla (vedi immagine), è il punto
cardine di questa mia interpretazione: esso è il simbolo del
progetto per il perfezionamento dell'uomo, argomento che compare da
subito nell'anime e serpeggia velenosamente lungo tutta la sua durata
per poi palesarsi, cripticamente, negli ultimi due episodi. In cosa
consiste questo perfezionamento, il superamento dei limiti come uomo?
Questo progetto non va inteso come qualcosa di concreto da
realizzarsi in senso religioso, ma in chiave psicologica: è qui che
si arriva, tramite la mediazione di questo piano intermedio,
all'ultimo livello.
Il livello psicologico
Sorprendentemente, ma forse neanche troppo, tutto quanto si risolve
intorno a Shinji. Ogni piccolo accadimento, ogni simbolo religioso si
ricompone nel progetto del perfezionamento dell'uomo. Questo non è
altro che il percorso, e al tempo stesso il punto di arrivo, che deve
affrontare Shinji nel viaggio più difficile di tutti quanti: la
transizione da ragazzo ad adulto. Shinji è costretto a fare i conti
con le asperità della vita: la sua totale apatia, la mancanza di
volontà, le guerre combattute per altri, la paura del contatto, la
separazione dalla madre e il timore dell'autorità del padre. Il
protagonista attraversa in un tragitto surreale, costellato di robot
e smaterializzazioni, angeli e società segrete, tutte le laceranti
lacune dell'animo umano. Sarebbe inutile ribadire quanto il
simbolismo psicologico, anche se molto meno evidente di quello
religioso, giochi un ruolo essenziale nel prodursi dell'opera
(Primo esempio lampante: l'Evangelion come il grembo materno e l' LCL come il liquido
amniotico in cui i piloti si immergono).
È interessante notare come il “vangelo del nuovo secolo” non sia
altro che una delle più grandi introspezioni dell'uomo moderno, in
particolare di quello giapponese, catturato in tutte le sue nevrosi.
È una sorta di ritorno al ruolo primordiale della fantascienza, che
i giapponesi, forse, non hanno mai abbandonato. Così come Godzilla
era un modo per introiettare e reimmaginare le atrocità subite
durante la seconda guerra mondiale, così Evangelion propone il
dramma esistenziale su un piano di iper-realtà necessario per
affrontare il male più subdolo, più intangibile. Ciò che però
sorprende è come tutto questo si risolva nell'accettazione della
vita in quanto tale. Sperimentato il nichilismo più assoluto, Shinji
si rende conto dell'impossibilità del rifiuto dell'altro: un modo
senza “altro”, pre-coscenziale in senso stretto, dove si è
tutt'uno con l'alterità (la madre), non può essere scelto. La
scelta, intesa come vita ed esistenza, presuppone dei limiti, dei
vuoti, delle distanze: ma proprio in ciò ci riconosciamo e ci
autodeterminiamo. In ciò che è diverso da noi decidiamo di
rispecchiarci e di completarci. Il percorso è in salita e pieno di
sofferenze, ma è proprio nell'atto dell'accettazione, nel decidere
di non fuggire (altro tema ricorrente durante tutta la serie) che ci
si dispone alla socialità, all'esperienza possibile: ed è il mondo
ad accoglierci.
Complimenti! |
Nessun commento:
Posta un commento