«Proponimi un titolo per una recensione.»
«Crash»
«Dai non ci credo,
quello di Cronenberg?»
«Boh non lo so. Però ci sta
Sandra Bullock ...»
Inizia così la rubrica delle recensioni su richiesta. Crash è un film che non avrei mai visto. Il Dottor C. me ne ha consigliato la visione. Il fatto che consideri il Dottor C. una persona ai limiti della moralità, in altre situazioni mi avrebbe portato ad ignorare con un sorriso di circostanza il consiglio di un individuo che, insomma, non è che abbia i gusti proprio raffinati. Nella sua macchina ho sempre ascoltato due soli cd: un live di Ligabue e “La dura legge del gol!” degli 883. Ovvio che al nome di Crash, seguito da quello di Sandra Bullock e condito con un per niente rassicurante “e invece guarda, ti sorprenderà”, sarei dovuto fuggire a gambe levate. Il Dottor C. però è il primo ospite/protagonista di questa rubrica. Non si scappa. Ecco a voi:
Solo su richiesta: Crash - Contatto Fisico
Crash
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Titolo italiano | Regia | Anno | Genere | Con |
Crash – Contatto Fisico | Paul Haggis | 2004 | Drammatico | Sandra Bullock, Don Cheadle |
In una Los Angeles violenta e razzista, sembra
impossibile ormai rapportarsi all'altro in maniera genuina e
sincera. Numerosi personaggi si muovono nella città, isolati
dalla loro stessa diffidenza. Agiscono in un contesto che li rende
intimamente vicini, seppur inconsapevolmente...
|
Crash è un disastro. Se
il film fosse un incidente sarebbe un tamponamento maldestro, di
quelli che non ti capaciti di come sia potuto accadere. Sei la, pronto a
fare il CID, incazzato nero, ma alla fine nessuna delle due macchine
si è abbozzata. Rimane l'incazzatura, ormai mista al risentimento e
a un senso di rassegnazione. Uno sguardo d'intesa con l'altro
autista, si rimane in silenzio, si rientra in macchina e via,
estranei come prima. Ma come guida la gente? Era meglio rimanere a
casa.
In una recente intervista, Sandra Bullock ha dichiarato di ispirarsi pesantemente alla figura di Daniela Santanchè. |
L'intento di Crash è quello di risultare un film intelligente, impegnato. Non riesce però a sollevarsi da una pretestuosità di fondo che lo incolla alla mediocrità. La volontà di dipingere un grande affresco, dove ogni singolo evento è collegato in maniera naturale da una cieca ma imperscrutabile causalità, fallisce nell'essere il perno della narrazione e risulta solo un piccolo accidente. Da fissare l'attenzione sull'anno di uscita del film, il 2004. È l'anno in cui inizia anche Lost: l'immaginario americano sembra volersi appropriare di un misticismo fatalista culturalmente lontano dalle sue radici. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Da notare subito due
aspetti del film. Il mio odio per Sandra Bullock non inficia certo la pretesa di universalità del mio giudizio: oggettivamente, è
proprio inguardabile nella sua plasticosità. In più ha il ruolo di
una stronza colossale aggiunta solo per far numero. Per il resto, tra
Matt Dillon, Ludacris e Brendan Fraser la scelta del cast risulta
poco credibile e, volendo, infelice.
Anche la colonna sonora
si inserisce perfettamente in un clima di banalità imperante. Si
inizia con una pedante melodia dal sapore orientale, che ci
accompagna per tre quarti del film, usata per ricordarci
ossessivamente – per la serie: non si sa mai quanto può essere
stupido chi ci guarda – che siamo tutti collegati, che ci sono il karma
e tanti altri concetti sfuggevoli che nella loro non reale presenza ci
DEVONO impressionare. La musica segue il dipanarsi della storia, e
all'americana redenzione di una società piena di individui distanti
e razzisti, ma tutto sommato buoni se sollecitati dal caso,
corrisponde il melenso pop-rock degli Stereophonics. La classica canzone da
sguardi fissi nel vuoto durante la realizzazione “ammazza che cosa
assurda la vita” (ma anche questo film non scherza). Da un
punto di vista musicale, il prodotto finale non riesce a superare l'alone di mediocrità
che circoscrive ogni suo aspetto.
Per quanto riguarda il
lato narrativo, la forzatura non risiede solo nell'intreccio di
storie sostanzialmente banali e stereotipate, ma nella modalità in
cui esso stesso si dipana. Abbiamo così la prima metà del film
volta a delineare in modo manicheo i personaggi: circa un'ora di
banalità e insulti razzisti solo per farci capire quanto l'uomo
moderno sia incapace di rapportarsi verso l'altro. Tutto gestito in
un modo così stucchevole e ridondante da perdere di credibilità:
non che Sandra Bullock ne abbia mai avuta una. Ma alla battuta di Don
Cheadle “mamma lasciami perdere sto facendo sesso con una donna
bianca” non si sa se bisogna ridere o piangere.
"Ciao mamma" |
La seconda parte del
film, partendo da delle basi non proprio solide, si risolve in un
nulla di fatto: gli “incontri”, non necessari e telefonati
praticamente da inizio film, non sono privi di pathos emozionale, ma
sono incapaci di concretizzarsi in qualcosa di interessante. Il
regista, Haggins, ci ricorda che dopotutto la sua è una produzione
Hollywoodiana, l'ennesimo polpettone sentimentalista e melodrammatico
che non ha il coraggio di turbare fino in fondo i suoi potenziali
spettatori.
Il film si chiude nel più
classico dei modi: redenzione, consapevolezza (anche se non si sa
bene di cosa) ed ennesimo, gratuito, incidente stradale che vede
coinvolta, guarda caso, una tizia che era già apparsa su schermo, ma
di cui sinceramente non ce ne fregava niente. Il film, per l'ultima
volta, ammicca spudoratamente allo spettatore, per appellarsi al suo
auto-compiacimento implicito nel riconoscimento: peccato che il
puzzle da ricostruire sia di soli 5 pezzi, non c'è nessuna arguzia
di fondo nel comprendere la trama, solo una ruffiana messa in scena
pensata per accrescere l'auto-stima dello spettatore medio.
Alla fine, non rimane che stringere un santino di
San Cristoforo (che a quanto pare, porta sfiga) e si piange. Un pianto triste dove scorrono lacrime di rammarico ma consapevoli in quanto pseudo-edificanti: in fondo che ci vuoi fare, è la vita. Gli
americani, però, non sanno guidare.
Alcune scene
- Ludacris si cimenta in
uno spiegone su come funzionino in realtà le dinamiche razziste in
una società dominata dalla sfacciataggine dell'uomo bianco. Tutto
con un dialogo frenetico, senza pause, una parlantina veramente cool.
Poi, portato lo spettatore dalla parte del povero discriminato,
estrae la pistola e ruba una macchina. Due considerazioni:
1) Hai comunque rapinato Sandra Bullock e Brendan Fraser, chi sono io per condannarti?
1) Hai comunque rapinato Sandra Bullock e Brendan Fraser, chi sono io per condannarti?
2) Tutto questo non può
che riportare alla mente la scena iniziale di Pulp Fiction. Solo che
quella scena funzionava in ogni suo aspetto: didaloghi ed attori compresi. La rapina coglieva di sorpresa nel film di Tarantino, qui
strappa un sorriso.
Fraser in una delle sue caratteristiche, ed involontarie, espressioni facciali. |
- Scena di grande pathos
quella del poliziotto che si prodiga per salvare la donna, molestata
in precedenza (!!!), intrappolata in una macchina che sta per
esplodere. Una giusta scelta delle inquadrature e dei tempi riesce a
catturare l'attenzione. Peccato che tutto si risolva, annullando qualsiasi aspettativa e credibilità, nel migliore dei modi possibili. Donna salva, poliziotto
semi-redento.
E vissero felici e contenti. |
- Sintomatica la scena del
set televisivo. Il registra, viene obbligato a ripetere una scena da
un altro personaggio, di cui non si capisce bene il ruolo, ma ce lo
immaginiamo. La scena, buona per il regista, è da rifare perchè
l'attore nero ha usato un linguaggio non consono a un personaggio di
colore. La tv deve riproporre gli stereotipi che fanno sentire comodi
gli spettatori sulla loro poltrona. Qui il violento ed implicito
imporsi del razzismo nella comunicazione di massa. Peccato che tutto
questo arrivi dopo quaranta minuti di insulti a cinesi, negri,
ispanici etc. etc. portati unicamente per caratterizzare i personaggi
e il contesto in cui si muovono. Quello che vuole passare per un atto
di denuncia, è in realtà l'unico terreno su cui la pellicola riesce
a muoversi e a svilupparsi. Il film drammaticamente, poiché
inconsapevolmente, accusa sé stesso, nel disperato tentativo di
legittimare una banale identità.
"Cerca di essere meno erudito e più negro!" |
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