Seven
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Titolo italiano | Regia | Anno | Genere | Con |
Seven
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1997 | Thriller | Morgan Freeman, Brad Pitt |
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In una città americana senza nome, i due
detective Mills e Somerset, si trovano all'inseguimento di uno
spietato serial killer. Ogni omicidio, l'espiazione di un peccato
capitale: questa l'unica pista da seguire...
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Grottesco e caricaturale,
Seven è un titolo che, nella sua ambiguità, fornisce una perfetta
rappresentazione delle incongruenze della società occidentale
moderna.
La storia si presenta
come l'archetipo di ogni thriller poliziesco. Si parte dall'ingenua
presenza dei due protagonisti antitetici, Morgan Freeman poliziotto
cinico e disilluso (quasi in pensione) e Brad Pitt giovane detective
irruento ma fortemente convinto del suo ruolo, che operano in una
città senza nome, la grande metropoli americana. È l'immaginario
americano, che nella sua semplicità, accompagna lo spettatore per
mano. Volutamente non vengono fornite ulteriori coordinate: chi
guarda deve sentirsi a casa ma allo stesso tempo spaesato. È il
genere stesso, il thriller, ben prima delle istanze sociali, ad
essere sovvertito.
Il vero protagonista, il motore dell'azione, è
l'anonimo John Doe (interpretato da un grandissimo Kevin Spacey). A
dettare le regole sono la squilibrata violenza e la follia calcolata
del mimetico ordinario. Non c'è nessuna corsa contro il tempo, anzi,
la rin-corsa dei due detective è solo apparente: essi sono immobili,
burattini del diavolo che si affannano per il suo compiacimento.
Questo è il perno del film: l'orrore massimo non è nulla di
trascendentale, è quanto di più comune. La pellicola vive nel
continuo sfaldamento degli opposti manichei su cui il popolo
americano basa le sue convinzioni. Il bene e il male, la famiglia e
l'isolamento, violenza e giustizia. In una messa in scena così cruda
e volutamente esagerata della morte, dove insetti pasteggiano sugli
escrementi di corpi mutilati, anche la vita non è più
riconoscibile. Le torture prescindono dal significato pseudoreligioso
(questo forse il più grande aiuto/inganno del film) solo per
accompagnare al totale rigetto, e il massimo annullamento è la
scelta a cui sono obbligate tutte le vittime: il rifiuto della vita.
Ma, ancora una volta, per
quanto riguarda i protagonisti, non si può parlare di vere e proprie
scelte. Tutto è in mano al glorioso progetto del demiurgo John Doe.
Ingenuità narrative, dialoghi didascalici e ridondanze nella messa
in scena si ribaltano nel loro opposto nella sequenza finale,
confermando l'intenzionalità da parte di Fincher di articolare il suo prodotto in questa direzione. Perfetta la scelta registica di non mostrare il contenuto
del pacco nella scena finale del film. Il vero orrore non è la scia
di sangue, situata sempre un passo avanti a Somerset e Mills, ma il fatto di aver
percorso questa strada fino in fondo. La realizzazione non è tramite
la vista, ma attraverso l'azione. Il vero mostro è chi tacitamente
acconsente, chi si nasconde dietro alle illusioni del sogno
americano. Il patetico nucleo interno viene disgregato, la speranza
del giovane detective totalmente annullata. Non c'è via di fuga, il
piano si conclude, la spirale di violenza è circolare. Non si può
sfuggire alla tragedia, si graviterà per sempre nella sua orbita.
"'The world is a
fine place and worth fighting for.' I agree with the second part."
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