“E Ciàula si mise a
piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla
grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella
saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei
monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che
pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella
notte ora piena del suo stupore” - Ciàula Scopre la Luna,
Luigi Pirandello, Novelle per un Anno.
“La voce della Luna”
è la fine di un viaggio. E in quanto tale è giusto che inizi in un
cimitero. Non si respira, però, aria di morte. L'infinita notte che
permea tutto il film, non rappresenta l'oblio dei sensi ma è il buio
rievocato da Mastroianni in "Ginger e Fred". È quella zona di confine,
al di là della percezione, oltre la razionalità, a cui Fellini ha
sempre puntato. “La voce della Luna” è la teofania del ricordo,
il panteismo felliniano è ormai completo.
“Vi parlo dal pozzo.
Qualcuno sente? Non so dirvi cosa... Ma un giorno succederà.
Divertitevi a scoprirlo. Anche se forse non sarà un evento. Oppure
non sarà simpatico. Imparate a flettervi. Le persone a volte non
esistono. Diventano solo parte degli eventi. Imparate a flettervi, e
sopravviverete.” - Distopi, Uochi Toki
L'atto
ultimo di Fellini è la conquista della natura e delle sue leggi. I
suoi spettri sono un tutt'uno con il mondo, lo abitano e lo
modificano. Gli uomini divengono alberi, dialogano con le viscere
della terra attraverso i pozzi e seducono la luna. In questa
congiunzione totale tra cinema e materia, tutte le grandi
problematiche della filmografia di Fellini sembrano risolversi. La
ricongiunzione con l'immagine della donna/madre viene abbandonata
nella divertita accettazione dell'eterogeneità del sesso femminile.
Il “vero” ballo del prefetto Gonnella (Paolo Villaggio),
incarnazione del bello artistico, viene riconosciuto ed assorbito da
una caotica folla di giovani. La chiave della riconciliazione risiede
quindi nell'abbandono di sé, nel divenire parte di un processo
fluido e contraddittorio. Qualsiasi pretesa razionale è
definitivamente infranta: il mondo di Fellini non ha più bisogno di
spiegazioni.
“Non
devi capire, guai a capire! E che faresti dopo? Devi solo ascoltare,
solo sentirle quelle voci e augurarti che non si stanchino mai di
chiamarti”
Ma
il pericolo è dietro l'angolo. L'esperienza ricercata per una vita
intera è a rischio. Perché lo schermo sembra ormai pensato solo per
defraudare lo spettatore. La Luna, guida e punto di riferimento,
tradisce Ivo Salvini (Benigni) e tronca il dialogo per annunciare la
pubblicità. L'interruzione viene dal nostro satellite (grandissima
intuizione): la televisione ha cambiato le regole del gioco. Fellini,
giunto al termine, sceglie il silenzio. Ci lascia così, senza una
vera soluzione, al buio, privati anche della Luna. L'unico gesto
possibile è quello di interrogare il pozzo, rivolgere lo sguardo
dentro se stessi, in cerca di quell'idea inafferrabile che potremmo
chiamare “verità”. Così che il ricordo, superi la morte.
“Come
mi piace ricordare, più che vivere. Del resto, che differenza fa?”