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Le storie in Fellini non
sono mai complicate, le trame sono banali, asciutte. Ciò che
veramente colpisce lo spettatore è l'unicità dei personaggi a cui
il regista da vita. Si percepisce una sorta di attenzione maniacale
nella creazione dei soggetti, si respira un'aria di feticismo: un
morboso attaccamento verso chi vive
le sue storie. Cabiria non nasce, ritorna: dopo la sua prima
apparizione ne “Le Luci del Varietà”, l'idea della dolce
prostituta dallo sguardo sognante ed il nome orientale viene covata
in segreto per sette anni dal regista, che decide poi di renderla
protagonista del suo sesto lungometraggio “Le Notti di Cabiria”.
La scelta dell'attrice è scontata: Cabiria viene interpretata da
Giulietta Masina, unica moglie e attrice feticcio di Fellini, vero e
proprio simbolo conciliante di vita e finzione, realtà e spettacolo.
Fellini riesce
perfettamente a fondere l'attrice con il suo personaggio, e la sua
ingenuità attoriale diventa estensione del carattere tenero ma
infantile della solitaria prostituta: Masina è Caribiria.
Ecco, la forza dirompente di un personaggio così vivo, è proprio
quello di trascendere la vita stessa: il film si muove dal dato
contingente, la strada e l'individuo, ma la riflessione è ben più
ampia. Repetita iuvant, il neorealismo è morto. L'occhio indiscreto
ed oggettivo, lo sguardo crudo su un Italia devastata, ha ormai
abbandonato il grande schermo. Il cinema non si accontenta più di
seguire i suoi personaggi, di raccontare la vita: Fellini mette in
scena qualcosa di universale ed intimo allo stesso tempo, un racconto
non più nella Storia ma presente eternamente proprio nella sua
atemporalità. Il titolo stesso richiama le persiane “Mille e una
notte”, echi lontani di un nuovo orizzonte. Il cinema fagocita e
rimastica la realtà, il cinema crea: diviene favola.
La scelta di dividere il
film in episodi quasi totalmente slegati tra di loro, è il primo
sintomo di una rottura insanabile: è il rifiuto della grande
narrativa neorealista, che si riproponeva di catturare la vita in un
suo dato momento senza alterazioni, magnificando ogni istante, ma
allo stesso tempo dichiarandosi incapace di stare al passo con la
realtà. Il cinema poteva essere solo una piccola cornice, la storia
filmica solo un piccolo pezzo (chissà, forse equiparabile a
qualsiasi altro) di una vita che andava ben oltre l'inquadratura. Il
tradimento sta nel servirsi degli individui contingenti, premesse
condivise dunque, per piegarli alla finzione. Ne “Le Notti di
Cabiria” non c'è una singola inquadratura, un singolo istante, che
non cerchi di andare oltre a quello che mostra, tutto è inganno. Ma
l'identificazione è massima: la frammentarietà narrativa si risolve
in una paradossale interezza emozionale rappresentata dalla
protagonista. Lo spettatore non ha più bisogno di rivivere la
Storia, e il film propone un'esperienza attuale, contemporanea,
simbolica e allo stesso tempo spirituale ed inconfessabile. Cabiria è
pura empatia, Cabiria è viva.
Proprio questo
determinato impianto narrativo permette a Fellini di sbizzarrirsi a
livello contenutistico. I temi trattati sono tra i più disparati,
tutti rimandanti alla dicotomia tanto cara al regista: immanenza
della realtà e trascendenza dello spirito (inteso in senso generale,
non religioso). Infiniti esempi si presentano: il ballo, la
processione, l'avanspettacolo e il circo finale. Anche il cinema
irrompe con potenza, rendendo parte integrante del racconto con la
presenza dell'attore Alberto Lazzari che interpreta se stesso. Come
già nei suoi sforzi precedenti, Fellini non fa altro che mostrare,
tramite una messa in scena perfetta (che stavolta coinvolge tutto
l'ambiente, non solo i protagonisti, arrivando a girare delle scene
corali impressionanti), il potere trasfigurante della
rappresentazione, anche prima dell'arte: la realtà viene congelata
ed ipostatizzata, il mondo diviene qualcosa che va oltre la singola
esperienza. La ricaduta, però, è inevitabile. La vita di Cabiria è
quindi una continua illusione, un perpetuo rifuggire in un sogno
sempre più realistico (emblematica la scena dell'ipnosi). Proprio
quando la redenzione di una realtà impossibile da vivere è negata,
nello svegliarsi più brusco dal desiderio più irrealistico, Fellini
sembra voler scegliere la morte. Cabiria, però, continuerà a
vivere, per sempre triste, per sempre sognante. Perché l'esistenza
non è altro che il fondersi di questi due poli antitetici. La vita è
un circo e Cabiria, proprio come tutti noi, un clown.
"[...]con un sorriso e forse una... lacrima"
Caro Michele, questa volta non vado oltre ad un solo aggettivo: esemplare.
RispondiEliminaAggiungo soltanto la tua perfetta osservazione: "la frammentarietà narrativa si risolve in una paradossale interezza emozionale rappresentata dalla protagonista".
Analisi eccellente, sarebbe riduttivo dire da consumato cinefilo. La strada intrapresa è lunga ma è quella giusta.
Ogni tuo commento mi emoziona, sei troppo buono!
EliminaSe qualcuno dovesse leggerci: si siamo parenti, ma fa tutto di sua spontanea iniziativa, gratis!
Scherzi a parte è un'impresa faticosissima, non pensavo sarei riuscito ad arrivare ad una settimana di post consecutivi (tutti di una certa qualità. Se non altro li scrivo col cuore, giuro!). Di sicuro i tuoi commenti mi hanno dato una buona spinta a continuare.
Grazie ancora Andrea, a presto!
Anzi ti racconto un aneddoto:
EliminaDopo aver scritto questo post in mattinata, avevo parecchi dubbi sul taglio che stavo dando a le mie varie recensioni. Si, cerco di renderli testi "autonomi," ma volente o nolente mi sono ritrovato a seguire il progressivo distacco di Fellini dal neorealismo. Sono film che vedo per la prima volta, e dopo la visione al massimo cerco qualche informazione su wiki (per esempio trovo molto interessante la storia della ricezione da parte della critica contemporanea di ogni film). In ogni caso non ero sicuro della strada che stavo seguendo, ho pensato che forse stavo esagerando troppo su questo aspetto e che magari rischiavo di prendere una cantonata. Comunque, decido di guardarmi la Dolce Vita (mi guardo i film con un giorno di anticipo rispetto a quando pubblico la recensione). E praticamente all'inizio del film si sente un giornalista chi chiede ironicamente "Secondo lei il neorealismo è morto?". Mi sono emozionato, sono soddisfazioni, a pensare che senza nessuna linea guida, senza aver letto nessun saggio su Fellini, sulla sua poetica etc. etc. solo poche ore prima avevo scritto "Repetita iuvant, il neorealismo è morto".
Tra queste piccole soddisfazioni, e i tuoi bellissimi commenti, non posso certo definirmi scontento di quello che sto scrivendo!
Ancora grazie... Ci si legge presto!
Michele, non mi devi ringraziare, è quello che penso.
EliminaIl tuo è un ottimo lavoro da cui trapela tanta passione ma che denota anche delle indiscutibili e sempre più espresse qualità di critico cinematografico. In quanto alle soddisfazioni, è più che legittimo che ti facciano piacere e ti diano nuove motivazioni e stimoli... come detto, arrivano perché le meriti!
A presto