“Fellini Satyricon” è
un film liberamente ispirato all'omonima opera di Petronio. Romanzo
latino mai pervenuto nella sua completezza, formato su un pastiche
di diversi generi e stili tendenti al parodistico e (appunto) al
satirico, appassionò il regista per i due protagonisti che definì:
«Encolpio
e Ascilto sono due studenti metà vitelloni, metà capelloni che
passano da un'avventura all'altra, anche la più sciagurata, con
l'innocente naturalezza e la splendida vitalità di due giovani
animali.»
“Fellini Satyricon”
viene dunque concepito dal regista come una sorta di “doppio”
storicamente traslato de “La Dolce Vita”, si pone in linea di
continuità contenutistica con esso, mettendo in scena attraverso una
narrativa frammentata e surrealista la decadenza di una società. La
poetica Felliniana nel contempo è vissuta di sperimentazioni (più o
meno riuscite) che nei nove anni che separano l'uscita dei due film,
hanno portato a una profonda estremizzazione del cinema del regista.
Il risultato, quindi, non solo va ben oltre il già ostico
surrealismo de “La Dolce Vita”, ma supera anche l'estetica
barocca e grottesca de “Giulietta degli Spiriti”. “Fellini
Satyricon” è l'ennesimo passo in avanti del regista che sembra non
adagiarsi mai sulle conquiste, ma anzi non ha timore di aggiungere
sempre nuovi strati di complessità alle sue produzioni.
Impenetrabile più che
mai, Fellini costruisce la pellicola su un doppio rimando: la sua
esperienza da una parte, il testo letterario dall'altro. Sebbene solo
la cena di Trimalchione sia l'unico episodio rimasto invariato
rispetto a Petronio, è proprio nel suo riferimento distorto che lo
spettatore trova l'unico accesso possibile al film. L'intenzionalità
denigratrice è infatti sepolta dall'estetica felliniana che
rivendica un primato contenutistico. È l'immagine/cinema a parlare
autonoma, questa la vera grandezza di Fellini: ogni singola
inquadratura si eleva così tanto dalla ristrettezza della semplice
forma da essere sussistente di per sé. La frammentarietà narrativa
trova la giustificazione proprio in questa dirompenza formale. Il
percorso che va da “Le Luci del Varietà” a “Fellini Satyricon”
è quindi un viaggio verso la decostruzione del linguaggio e la sua
successiva ricomposizione in immagine.
Il senso dunque non può
più ritrovarsi, come in Petronio, nella satira
sociale, ma nella sua messa in scena, nell'unicità compositiva
propria del regista. Al di là della storia, quindi, non rimane che
il gesto. L'unico elemento verbale che si imprime nella memoria dello
spettatore è l'incessante e volgare risata che permea lo spettro
sonoro di tutto il film. Il dialogo si disperde in una babelica
confusione di lingue non comunicanti, ogni cosa si risolve nel volto
trasfigurato di chi, senza pudore, ride dell'altro. Il Satyricon di
Fellini, è un inno alla dissacrazione, al crollo, alla distruzione
di ogni punto di riferimento. Ma è anche un invito al recupero di
una tradizione in funzione di nuove possibilità. È come se il
regista si ponesse alla fine della Storia e da la intuisse che
l'esistenza umana attraversa ciclicamente sempre le stesse tappe, e
tra Petronio e la contemporaneità c'è una separazione temporale: il
declino è concettuale ed assoluto. L'innovazione quindi può
arrivare solo da un cambio di sguardo, da una nuova visione del
sempre uguale.
È
nel finale che risiede l'ennesima dichiarazione di totale abbandono
del regista verso (ed attraverso) il suo pubblico e la sua creazione:
mitigato nel tempo e ricondotto al mito del reale, il testamento di
Eumolpo, vero e proprio invito al cannibalismo, non è altro che lo
splendido balletto finale di 8%12, dove opera e autore trovavano la
loro verità in una mediazione totale. Encolpio rifiuta l'assunzione,
e diviene storia: tutto il resto, è leggenda.
Tra
attualità e mito, Fellini dimostra come il cinema possa essere
interprete non solo del suo tempo, ma della vita stessa. Ciò che
traduce, però, non è avvicinabile secondo i canoni di un'esperienza
obiettiva e razionale. Realtà, sogno e tradizione si fondono ancora
una volta nell'unicità di una visione senza tempo: il “Satyricon”
di Fellini è la disgregazione della cultura occidentale al suo
apice, un dissacrante funerale senza defunto.
Nessun commento:
Posta un commento