Considerato da molti un
passo falso, (il suo secondo, dopo “Il Bidone”) tanto da aprire
una sorta di crisi creativa in Fellini, “Giulietta degli Spiriti”
è un film fortemente sperimentale, dal carattere marcatamente
esoterico. Dopo la dichiarazione d'amore di “8½” verso lo
spettatore ed il cinema tutto, il regista con questo film rischia (e
pericolosamente, quasi ci riesce) di perdere la connessione con la
realtà ed il contatto diretto con il suo pubblico. Non che nelle sue
opere precedenti ci fosse una linea d'accesso razionale di facile
approccio, ma sembra che in “Giulietta degli Spiriti” venga a
mancare quel sincero elemento autobiografico, sotterraneo e quasi
impercettibile, che faceva da collante tra l'esperienza creativa e
quella di fruizione. Fellini si spinge oltre (il film nasce comunque
dopo l'utilizzo, a scopo “terapeutico”, di LSD) la dimensione
onirica e sembra piombare in quella allucinatoria. Gli spettri che
tormentano la povera protagonista (interpretata da Giulietta Masina,
prima tra i ghost/revenant dell'autore
riminese), appaiono con cadenza regolare, quasi prevedibile:
il film è un incubo lucido, il cineasta non perde mai il controllo,
anzi sembra aver trovato la chiave per forzare il suo genio. Ormai
lontano dalla sottomissione all'idea creativa che lo tormentava da
fuori (il film/fantasma nato morto che non voleva abbandonare la sua
immaginazione), il regista sceglie di raccontare e non di
raccontarsi, creando così un di più, un eccesso, che si frappone
fra lui e chi guarda. Lo spettatore avverte la traccia razionale,
l'impianto narrativo celato oltre il tangibile, ma ne è
irrimediabilmente tagliato fuori, perché l'unica strada percorribile
è la personale consapevolezza dell'autore. Se “8½” era il
perfetto punto di unione, “Giulietta degli Spiriti” non è
altrettanto compiuto, e si incastra in un gioco di volontà e
richieste: necessità di abbandono e inconciliabile riflessione
distaccata.
Formalmente più coerente
che contenutisticamente, “Giulietta degli Spiriti” porta avanti
le sperimentazioni iniziate nel divertente “Le Tentazioni del Dr.
Antonio” che si risolvono in un'attenzione maniacale dedicata
all'uso del colore. Il regista, nella composizione dell'immagine, uno
dei caratteri distintivi del suo cinema, si avvale in modo
straordinario delle nuove possibilità cromatiche, ed anche il colore
viene assimilato perfettamente in quella compatta unità sinestetica
propria di ogni suo film. Vero e proprio mezzo narrativo (tanto
quanto le musiche di Nino Rota, indiscutibile doppio musicale del
regista) il colore irrompe con una violenza inaudita proponendo tinte
accese e contrasto netto. Ancor più espressionista risulta l'uso
dell'illuminazione: luci e ombre sembrano prese pari pari dalla
cinematografia tedesca degli anni '20, filtrata attraverso
l'esperienza del noir americano. La consapevolezza tecnica non si
limita a nessun aspetto formale, e nel suo film più impenetrabile,
Fellini non si tiene certo a freno: incredibile come, nonostante gli
illustri precedenti, il regista riesca sempre a rinnovarsi e a
stupire lo spettatore con una regia fluida ed imprevedibile.
“Giulietta degli
spiriti”, proprio come i suoi personaggi che vivono nelle ombre e
raramente si palesano, è un film incapace di smascherarsi, abita
un'immagine residuale. Il di
più a cui allude, nella forma quanto nel contenuto, è inarrivabile
per quanto sempre presente. Abbandonando lo sforzo della
ricostruzione, lo spettatore deve accettare l'impossibilità
(difettiva) di cogliere, non tanto comprendere, il film nella sua
interezza. Cosa rimane allora?
Rimane
l'incredibile carica visiva di un “artigiano” geniale,
frammentata in tante zone narrative solo apparentemente comunicanti.
L'affresco felliniano, riconoscibile nelle sue infinite
configurazioni, è presente in tutta la sua interezza: personaggi,
situazioni, scene ed inquadrature, tutto parla e fa riferimento a
quell'inconfondibile poetica identificativa dell'autore.
Paradossalmente, poiché esibita per la prima volta così chiaramente
ed incessantemente, in “Giulietta degli Spiriti” viene a mancare
la magia, quel
fantastico circo che permette ai personaggi (elementi) di muoversi
agevolmente in uno spazio comune. Tutti insieme, per sempre.
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