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Per Fellini, “Ginger e
Fred” segna la chiusura di un cerchio. L'amarcord
diviene oggetto di sé stesso. Il ricordo re-immaginato dal cinema è
la sua medesima storia, non la vita che lo precede. Ogni singola
inquadratura racconta e si confronta con il Fellini regista, prima
ancora che uomo. È incredibile come l'autore riesca a fondere
narrativamente diversi piani concettuali senza mai però interrompere
l'indefinito equilibrio che domina tutto il film. Ginger e Fred sono,
in primo luogo, il simbolo del cinema, non solo americano.
Rappresentano quel punto di unione tra storia e performance che
Fellini ha sempre cercato di ricreare in ogni sua scena: quella
fusione tra potenza dell'immagine e meraviglia circense, vera magia,
che solo il cinema riesce a trasmettere. Ma Ginger e Fred sono anche
Giulietta Masina e Marcello Mastroianni. Più di due semplici attori
feticcio, sono il punto massimo dell'autobiografismo filmico di
Fellini, ancor più di quando decideva di farsi inquadrare
personalmente. Il loro volto ha incarnato la visione del regista
innumerevoli volte e, proprio come Nino Rota, i loro personaggi sono
cresciuti ed invecchiati ad ogni film. La vecchiaia che abita le loro
facce in “Ginger e Fred”, è il segno di un percorso durato
trent'anni, la traccia indelebile di una magnifica storia.
“Ginger e Fred” non è
solo una rievocazione nostalgica del passato, è un confronto diretto
con il presente. È la problematica presa di coscienza della
sparizione dello spazio proprio dell'arte. La Gloria N. de “E la
Nave Va” è stata definitivamente abbattuta da una società in
continuo progresso. La cultura di massa ha inglobato qualsiasi forma
espressiva ed ha imposto i suoi tempi ed i suoi luoghi. La
televisione ha assimilato il cinema in modo subdolo ed ha degradato i
suoi prodotti a merce di consumo. L'immagine è diventata pubblicità.
Ciò che in “Le Tentazioni del Dr. Antonio” era solo un pretesto
comico è, a conti fatti, un'intuizione sociologica di non poco
conto. La tv non ha fatto altro che risemantizzare il linguaggio
filmico riempendo l'immagine di vuoti rimandi sessuali. L'estetica è
ricondotta al sesso, tutto è volto all'eccitazione dello spettatore
ormai incapace di associare il desiderio ad un contenuto determinato.
Nel piacere della pubblicità, lo spettatore diviene consumatore.
La grandezza del cinema
di Fellini è quella di aver sempre rivendicato un'autonomia
essenziale. L'immagine si è sempre presentata come altro dalla
realtà. Un di più spettrale, un residuo visivo impercettibile che
nel suo manifestarsi trasfigurava completamente il mondo, e con esso,
chi guardava. Il cinema di Fellini non poteva essere altro che uno spirito indefinibile. Sono gli stessi Ginger e
Fred ad ammetterlo. Di fronte alla fame
insaziabile dei telespettatori, però, questo non è possibile. La
forzatura massima della televisione è consistita nell'abbattere la
linea di confine tra l'inafferrabilità dell'immagine e la realtà. È
piombata prepotentemente nello spazio comune e condiviso, ha piazzato
schermi ovunque, ha distrutto la singolarità di ogni possibile
esperienza. È divenuta semplice conferma del mondo che l'ha
generata, uccidendo qualsiasi alternativa dell'immaginazione. Le luci
del varietà sono diventate l'unica possibilità di esistenza dello
spettatore. Nel buio totale del black-out è la vita stessa a
fermarsi.
Proprio qui, invisibili e
intangibili, Ginger e Fred trovano la loro verità. Nell'essere per
sempre fuori dal tempo e sfuggevoli allo sguardo. Nell'essere il
negativo che riusciva a muovere, in qualsiasi direzione, lo
spettatore. Il cinema di Fellini sarà per sempre fantasmagorico.
“Ma lo sai che non
sto niente male qui? È come nei sogni, lontano da tutto. Un posto
che non sai dove sia, come ci sei arrivato. […] Siamo dei fantasmi
che vengono dal buio e nel buio se ne vanno”
Ennesimo ottimo lavoro, Michele!
RispondiEliminaGrazie ancora :)
EliminaDai che siamo quasi arrivati alla fine! (non ce la faccio più!!!)