Dopo più di 25 anni dal
suo debutto nel ruolo di regista, Fellini ha chiaramente raggiunto
un'età di maturità artistica. “Il Casanova di Fellini” si
configura come una sovraesposizione delle caratteristiche proprie
della sua cinematografia che però, esaurisce la sua carica
sperimentatrice all'interno dei confini tracciati in precedenza. Sia
ben chiaro, la meraviglia non viene certo a mancare: come di consueto
Fellini riesce a parlare un linguaggio sempre diverso ma
riconoscibile, trova nuovi escamotage e soluzioni formali che
arricchiscono la sua tavolozza espressiva. Manca quella ricerca tesa
a sfondare i limiti grammaticali e conoscitivi del cinema. La
perfezione tecnica artigianale de “Il Casanova”, proprio come la
donna meccanica, è anche il suo limite, la sua chiusura. Non si
trova quella sincera ingenuità, quell'eccesso residuale che rendeva
più interessanti film sicuramente meno riusciti: lo sbilanciatissimo
(in ogni suo aspetto) “Giulietta degli Spiriti” potrebbe essere
un ottimo esempio. In quel caso Fellini non si poneva nessun limite
nell'uso del colore, utilizzato per la prima volta in un
lungometraggio, e il risultato, barocco e grottesco, impressionava
per la sua imperfezione. Da quel di più, per molti un passo falso,
si sono potute generare le premesse formali entro le quali si muove
“Il Casanova”. Se da una parte si trova l'equilibrio, dall'altra
il film non possiede quella dirompenza espressiva che tipicamente
catturava lo spettatore in ogni film di Fellini.
Contemporaneo a “Barry
Lindon” di Kubrick, “Il Casanova” sebbene ne condivida le
premesse (la messa in scena storica. Se si vuole, “il film in
costume”), formalmente si colloca all'opposto. La pellicola di
Fellini, infatti, è innanzitutto incentrata sulla messa in scena di
spazi chiusi, al limite del claustrofobico. Inoltre, all'attenzione
maniacale nella ricostruzione dei vestiti dell'epoca, sforzo che
valse l'oscar ai miglior costumi nel '77, si affianca la scelta
volutamente surrealista, di ricorrere a fondali dipinti e ad un
grande uso di materiali plastici nella composizione della
scenografia. L'anti-naturalismo non viene per nulla mascherato, anzi
viene posto in evidenza: il mare in tempesta all'inizio del film è
un ottimo indice del lavoro svolto per tutto il film. Questo
contrasto tra personaggi e contesto, risulta nell'ennesima intuizione
autoriale di Fellini che
riesce a donare un'identità estetica definita ed unica ad ogni suo
prodotto. L'immagine diventa quindi perfetta espressione, e sua
naturale estensione, di una narrativa incastrata tra storia,
sogno e ricordo.
La “maturità” di
Fellini ha il pregio di essere pensata come tale da chi conosce
le sue opere. “Il Casanova” è un film che poteva arrivare solo
in uno stato avanzato di una carriera, non solo per il pregresso su
cui è costruito, ma anche perché una pellicola del genere può
essere concessa, in termini di fruizione/pubblico ma anche
realizzazione/produttori, esclusivamente ad un regista affermato.
L'inibizione con cui Fellini parla del sesso (argomento centrale ma
quasi sempre sotterraneo nella sua cinematografia) ne “Il Casanova”
è possibile solo se viene concessa carta bianca da parte del cinema
stesso. Il regista, privo di ogni limite, affronta l'ultimo grande
tabù della cultura occidentale con disinvoltura e senza mai cadere
nel ridicolo, o ancora peggio, nel volgare. Anzi, notare come le
scene di nudo vengano limitate rispetto ai suoi film precedenti.
Nell'affrontare frontalmente il sesso, Fellini preferisce alludere
solamente all'immagine (a tal proposito, i simboli fallici si
sprecano, e l'episodio della “balena mona”
rientra proprio nel discorso dei confini attraversabili solamente da
un autore riconosciuto come tale) e le scene di passione vengono
rappresentate volutamente in modo parodistico. Ciò che caratterizza
l'erotismo de “Il Casanova” è la sua totale inscindibilità
dall'impulso di morte, volontà di annullamento. Seconda grande
intuizione di Fellini, questa volta a livello contenutistico, è
scegliere di portare Eros e Thanatos
sempre ed indissolubilmente legati.
Le
avventure di Giacomo Casanova, “vitellone invecchiato”, sono una
continua ricerca del totale abbandono di sé, ogni orgasmo una
dichiarazione di sconfitta. La sottomissione alla donna/madre è
totale, incessantemente il protagonista farnetica una
riappropriazione inesistente, un ritorno nel grembo pre-natale nel
momento di maggiore godimento. Il massimo conoscitore dell'arte del
sesso, incarnazione del seduttore (ritorna la volontà linguistica
generatrice di Fellini) è in realtà un potenziale suicida, incapace
di una vera relazione. La conoscenza razionale a cui riconduce il
sentimento, l'eros, è la manifestazione più evidente della sua
ossessione per la morte, thanatos. La meccanicità dell'approccio
culmina nel godimento dell'unione con un'automa (anticipando di anni
il problema sociologico di internet e la pornografia). Il finale,
evidenzia il limite del film. L' Amarcord
non è più una fluida rappresentazione della vita, ma il tentativo
di cristallizzare il passato per sfuggire alla morte. Casanova, nel
suo ricordo, si unisce alla danza della bambola, diviene anch'esso
meccanismo senz'anima, si ipostatizza per sempre devitalizzandosi. Il
cinema di Fellini, per la prima volta, cerca di divenire monumento:
trova la morte nella sua bellezza.
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