mercoledì 5 febbraio 2014

8½ [Fellini Checklist 10/24]

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Partendo dal titolo, Otto e mezzo, si pone in un interstizio. Una zona di confine, tra i suoi precedenti lavori, sei lungometraggi interamente diretti da lui, più tre metà (Le luci del Varietà, e gli episodi de “L'amore in città” e “Boccaccio '70) e la genesi di un concetto. Sin dalla nascita si presenta come un film indeterminato e indefinibile. Un'idea che germoglia dal nulla ma che poi scompare. Sembra però aver lasciato una traccia, un residuo nel reale che non riesce ad abbandonare la mente del regista. Ed ecco quindi il colpo di genio: il film non farà altro che parlare di se stesso, in quanto nulla esistente, paradosso negativo apparentemente inesprimibile. Ogni pretesa di appiglio al reale è definitivamente abbandonata: 8½ si muove in uno spazio etereo, proprio in quel ½ dove l'idea incontra la vita. 8½ è pura creatività riflettente, pensiero fluido e inafferrabile raccontato ancor prima di una sua determinazione.





Cosa dire di un film che vive di personali intuizioni, pensieri segreti e realizzazioni inconsce solo in apparenza strutturate in un impianto diegetico? Probabilmente l'unica cosa che rende giustizia a un'opera del genere è dire: va visto. Sarebbe inutile e ridondante sprecare ancora una volta parole sulla bravura tecnica di Fellini, l'incredibile composizione dell'immagine, l'uso della mdp, l'importanza della musica. Ciò che veramente lascia esterrefatti è il continuo susseguirsi di espedienti tecnici e formali che spiazzano in continuazione lo spettatore, ma non cadono mai nella forzatura, la visione scorre via sempre in una coerenza di fondo (che potrebbe essere: l'annullamento di qualsiasi grammatica sperimentata fino ad ora) mai ravvisata in precedenza. Si pensi solo all'uso della finta soggettiva durante il discorso del critico cinematografico all'inizio del film: Jean Rougeul parla rivolgendosi in camera, presupponendo la coincidenza della mdp con lo sguardo del protagonista. Ancora qualche passo, altri sguardi, camera e attore fianco a fianco e poi, improvvisamente, entra in campo la figura di Mastroianni, personaggio a cui è rivolto il discorso di Rougeul. Nei primi cinque minuti di film, in modo esemplare, viene quindi proposta e subito negata allo spettatore l'identificazione con il regista. Il film, vive in questa continua allusione e negazione delle regole del gioco.





Come si poteva pensare di spingersi oltre la “Dolce Vita”? Quell'incredibile esplosione di senso che catturava lo spettatore e lo disorientava in continuazione, sovraccaricandolo di stimoli estetici, sembra essere addirittura superata in 8½. La prospettiva però è radicalmente diversa: non c'è veramente più nessuna direzionalità, nessuna frammentazione, nessuna narrativa. Ne “La Dolce Vita”, seppur con la massima impenetrabilità, la storia proponeva un enigma, ovvero una sincera offerta allo spettatore di essere sviscerata, colta, trasfigurata e riconosciuta, mentre 8½, apice massimo della carriera di Fellini, annulla questa pretesa. Spazio e tempo non vengono decostruiti, non sono proprio presi in considerazione. È il surrealismo massimo, perché propone una realtà all'infuori di essa, è un viaggio immobile nello spazio non delimitabile della mente del regista: non si può provare interesse verso un'opera del genere, ci si può fermare soltanto alla fascinazione. La genialità dell'autore risiede non solo nell'essere riuscito a fondere perfettamente realtà, finzione e realtà della finzione (Fellini crea un film su un suo alter ego intento a creare un film sul suo alter ego), in un continuo gioco di rimandi e riferimenti (concetto mimetico dell'arte, mimesis, portato all'estremo) ma anche nell'integrare perfettamente lo spettatore in questo processo cognitivo. Chi guarda è parte inscindibile della rappresentazione, e il movimento (l'unico reale di tutto il film, probabilmente) circolare del finale che sancisce la conclusione del film ma la rinascita della creatività, ingloba non solo tutti i personaggi incluso il regista, ma anche la realtà nella sua interezza al di fuori dello schermo. Il concetto di fuori campo disintegra la cornice dell'inquadratura ed irrompe nell'esperienza di chi è presente alla visione, legandosi indissolubilmente. Fusione di orizzonti, esperienza di verità.




Cos'è la creatività? 8½ è un viaggio onirico, trascendentale e surrealista nella mente di un regista visionario ma incapace di considerarsi artista, fortemente legato alla consapevolezza di essere, prima di tutto, un uomo. Ancora una volta il mondo di Fellini (le sue opere, la loro ricezione, il suo rapporto con il pubblico ma anche la sua infanzia, le sue paure, le sue manie, le sue relazioni etc. etc.) irrompe nella realtà, quella condivisa, lo spazio altro, ma non lascia nessuna possibilità di allontanamento: lo sguardo si allarga all'infinito e si richiude in sé, ingloba e risemantizza l'estetica reale sotto la sua volontà. assume quindi quella funzione mediatrice tra universale processo creativo ed esperienza singola e personale che crea l'unica possibilità di accesso alla pellicola: il film stesso. Quello di Fellini, è un atto demiurgico.



2 commenti:

  1. Negli ultimi giorni ho avuto pochissimo tempo e soltanto oggi sono tornato a leggere le tue brillanti critiche. Credo di essermi perso molto, ma mi impegno sin d'ora a recuperare.
    Una volta di più, con questo illuminante lavoro su 8½, hai enfatizzato l'essenza dell'opera felliniana fornendo un'analisi attenta, precisa, mirabile.
    Grande lavoro!

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    1. Grazie zio, mi fa piacere che trovi il tempo di leggere tutto. Purtroppo mi sono reso conto che sono così preso da questi film, che nello scrivere ci metto troppo entusiasmo, e pubblico senza rileggere attentamente. Quindi sei anche troppo buono, dopo il tuo commento ho riletto tutto e mi sono sentito in dovere di correggere punteggiatura e ripetizioni!
      Ciao, a presto.

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