Secondo docufiction
pensato per la televisione, “I Clowns” presenta la stessa
impostazione concettuale de “Block-Notes di un Regista”. Questa
volta, però, Fellini decide di usare il cinema (o la TV) non per
raccontare i suoi film, ma per esplorare da vicino la figura simbolo
del mondo circense: il clown. La ricerca assume da subito un
carattere intimista. Non è segreta la fascinazione che il regista
nutriva per i clown ed il circo, e come questi elementi ritornassero
periodicamente, in maniera più o meno esplicita, in ogni suo lavoro.
“I Clowns” inizia con
la storia di un bambino incapace di ridere di fronte al circo, poiché
ai suoi occhi risulta inseparabile dalla realtà. Ed è proprio con
lo straniamento dal pubblico che il bambino cresce e diviene regista.
Fellini, in fondo, in ogni suo film non ha fatto altro che ribadire
lo stesso concetto: ai suoi occhi vita e circo, così come realtà e
rappresentazione, sono indistinguibili. Nel trovare questa
paradossale coincidenza c'è tutto il suo genio che lo eleva da
semplice spettatore. Il surrealismo della messa in scena felliniana,
è lo stesso regista a dircelo in questo film, non è altro che la
(mancata) meraviglia di un bambino mai totalmente abbandonato.
A rimarcare la totale
coincidenza tra realtà e finzione, c'è l'incapacità felliniana di
girare un documentario in senso stretto. Di cosa parla realmente “I
Clowns”? È una ricerca su un tema, è un'autobiografia mascherata,
o è un film su un film? È ognuna di queste cose, proprio come tutti
i suoi lavori precedenti. È interessante notare però, come dopo
l'esplorazione interna, vera e proprio auto-analisi psicologica, di
8½ e l'appropriazione della dimensione storico-sociale di “Fellini
Satyricon”, Fellini senta il bisogno di far entrare la sua figura,
il suo essere regista, nel film stesso. Una presenza che va ben oltre
la semplice inquadratura e voci fuori campo, ma si esplica nella
necessità di essere percepito come motore anteriore alla vista,
principio di sguardo e movimento. Ma è Fellini stesso a immergersi
totalmente nella sua opera (“I Clowns” è innanzitutto la storia
di una sua fascinazione) e a dichiararsi incapace di distinguersi da
essa. Così come la troupe “sfonda” in continuazione i limiti
dell'inquadratura, sia fisicamente che narrativamente, è il film
stesso a rivendicare una sua autonomia. A luci spente, lo spettacolo
ricomincia e continua all'infinito, non c'è neanche più un
pubblico. Cinema, oltre la vita.
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