“Roma” sancisce
l'apice della parabola documentaristica di Fellini che ha
contraddistinto tutti i suoi film post-Satyricon.
Il regista ripercorre la città, set di tanti suoi film, non solo
spazialmente ma anche temporalmente. A ribadire la totale
identificazione con le sue opere, c'è la coincidenza tra il luogo
delle sue pellicole e il tempo della sua vita. “Roma”, dalla
struttura episodica tipica di Fellini, presenta in aggiunta, una
Storia divisa in due: da una parte la Roma degli anni '30 che
accoglie un diciottenne Fellini per la prima volta, dall'altra la
Roma degli anni '70, contemporanea, attuale e caotica. La volontà
documentaristica si fonde definitivamente con la finzione
autobiografica e i due piani sono ormai inscindibili.
“Roma”
mostra come la città, nonostante gli stravolgimenti temporali,
riesca a mantenere una forte identità. Non tanto nel suo essere
monumento, ma
nell'essere patria di un popolo unico al mondo. La Roma di Fellini, è
veramente quel circo che ha cercato di raccontare in ogni suo film.
Nonostante la distruttività della guerra, vera e proprio cicatrice
del 1900, oltre gli sconvolgimenti sociali degli anni '70, i romani
hanno la capacità di andare sempre oltre, di rialzare la testa. Una
forza che trascende il singolo ed è propria della città/contesto.
Il romano è il clown che ossessiona l'iconografia felliniana, così
triste ma così divertente. La volgarità, l'eccessività e
l'arroganza sono più di semplici maschere: sono antidoti contro la
vita. Nella sua semplicità, nel suo ridicolizzare tutto, nel suo
sapersi dimenticare della morte che alberga per le strade, qui
risiede la sua forza. Nella Roma di Fellini, surrealista ma
veritiera, i bordelli si sovrappongono alle sfilate di moda
ecclesiastiche: nella città eterna, tutto è possibile.
“Roma”
è una grandissima dichiarazione d'amore, un affresco così vivo e
sincero che solo chi ha vissuto veramente questa città poteva
dipingere. L'eterogenea vastità di Roma si sposa perfettamente con
il multilinguismo di Fellini: l'unitario pastiche
stilistico e di generi è più solido che mai in questa sua ultima
incarnazione. Incredibile l'incedere dello sguardo del regista che
lentamente cerca di entrare dentro ogni singolo edificio inquadrato
come se tentasse di consegnare allo spettatore il segreto
dell'eternità di Roma. Lo sguardo di Fellini, però, così intimista
e indagatorio, risulta sempre estraneo.
Lo scrutare degli attori in macchina ogni volta che il regista
attraversa la città, non rompe ingenuamente una delle regole
fondamentali del linguaggio cinematografico. Anzi, è proprio
l'intuizione migliore che Fellini ha nei confronti dei romani: tra
semplicità e diffidenza, in uno sguardo viene condensata l'essenza
dei romani. In fondo, la reale inavvicinabilità di Roma viene
confermata dalla donna/simbolo per eccellenza, Anna Magnani, che si
rifiuta di dar confidenza a Fellini, seppur suo amico, e gli chiude
la porta in faccia. Alla fine, Roma si lascia percorre da tutti, non
nega la sua vista a nessuno: il suo fascino rimarrà eterno. In
pochi, però, avranno il diritto di viverla.
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