“Prova d'Orchestra” è
l'ennesimo film da inserire nel filone delle “docufiction per la
tv” che negli anni '70 (precisamente dal 69 con “Block-Notes di
un regista” al 79, con “Prova d'Orchestra”) predomina
all'interno della cinematografia di Fellini. Dalla lunghezza anomala,
70 minuti (poco più che un corto) è certamente un film atipico
nella produzione del regista sia formalmente che contenutisticamente.
Per capire la sua “diversità” è utile prendere due punti di
riferimento. Da una parte c'è l'autore stesso che lo definì “un
filmetto” dall'altra, una poi non così tanto obiettiva Wikipedia
che, nella pagina dedicata al film, decide di scostarsi dal campo
enciclopedico e si lancia in un'entusiastica analisi filmica che sa
tanto di difesa e riscatto del testo cinematografico. A chi credere?
Dove si può situare uno sguardo lucido? Intanto, il link:
Se la virtù sta nel
mezzo, probabilmente ci si trova anche il valore effettivo di “Prova
d'Orchestra”. Lungi dall'essere un filmetto, non è neanche un
capolavoro. Sebbene l'intento comunicativo sia chiaro, manca quella
affascinante semplicità che ha da sempre contraddistinto tutti gli
sforzi di Fellini. La riflessione sull'arte va ben oltre la
superficialità dell'attualità politica, ma non sembra liberarsene
completamente. Quello che in "8½" era un mondo compiuto in se
stesso, in “Prova d'Orchestra” è profondamente scisso. Non solo
nella sua ricezione (autore/spettatore) ma nel suo intimo, nella sua
essenza. Il pericolo di scendere così profondamente nell'attualità,
nello spazio condiviso (politica
dovrà pur significare qualcosa) è troppo persistente per essere
interamente superato dalla riflessione metafisica
e trascendentale sull'arte e sul processo creativo.
Il
riferimento vivo al sociale/politico è una ferita troppo grande per
essere rimarginata dall'Amarcord
felliniano. Il film risulta quindi scisso, incompiuto, separato. Le
intuizioni formali di messa in scena, i divertissement
narrativi, lo sguardo
inconfondibile del regista sono presenti (ma anche questa volta,
Fellini si nega la corporalità e non si spinge oltre alla voce fuori
campo) ma rimangono sospesi in un limbo di incompiutezza che cerca
continuamente di rivendicare la sua unità. “Prova d'Orchestra”
parla politicamente di un'arte che non avrà mai luogo, se non nella
visione di Fellini. Il fallimento della ricongiunzione finale tra il
direttore e la sua orchestra, mancanza di armonia,
è allo stesso tempo la disfatta del film stesso: è l'arte a
rivendicare la sua negatività, la sua riottosa autonomia.
L'impossibilità di imbrigliarla nei confini del mondo.
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