mercoledì 18 dicembre 2013

Appunti sul Cinema [2]: Bazin e il montaggio proibito

Prima di approfondire ulteriormente il pensiero di Ėjzenštejn, vorrei soffermarmi sulla teoria del montaggio proibito proposta da André Bazin nel manuale “Che cos'è il cinema” in particolare nel capitolo nominato “Montaggio Proibito”.

La riflessione di Bazin parte dalla mesa a confronto di due film per bambini. Il primo è “Une fée pas comme les autres” di Jean Tourane e il secondo “Le Ballon Rouge di Albert Lamorisse. Tramite l'analisi di queste due pellicole vuole dimostrare come l'intervento del montaggio non sia sempre necessario, ma anzi, rischi di compromettere la narrativa filmica.




Nel film di Tourane, il montaggio è artificio necessario alla narrazione. L'obiettivo è quello di antropomorfizzare gli animali inquadrati e i loro comportamenti, al fine di renderli attori protagonisti della storia raccontata per immagini. Secondo Bazin il montaggio è il perno ontologico del film tanto che “l'azione apparente e il senso che le si presta non sono praticamente mai preesistiti al film, nemmeno sotto la forma parcellare dei frammenti di scena che costituiscono tradizionalmente le inquadrature”. Così come con “l'effetto Kulešov, è il montaggio (o il pubblico attraverso esso?) a costruire un senso narrativo. Inoltre è importante che non accada veramente il gesto in sé, ma sia creato solo a posteriori dalla sequenza di inquadrature. Se i cani fossero stati ammaestrati in tal modo da saper eseguire determinate prodezze tipiche delle azioni umane, l'attenzione si sarebbe spostata dalla storia alla straordinarietà del gesto in sé.



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Nel film di Lamorisse il montaggio assume un ruolo ben diverso. Scopo del film è zoomorfizzare un palloncino affinché segua il suo “padrone” come un cane. La dose di finzione è la stessa, ma lo scarto per Bazin è netto: questo film non deve nulla al montaggio. L'illusione deve trovare conferma nella realtà oltre che nel cinema. Per il critico “il fatto è che appunto, al montaggio, il palloncino magico esisterebbe solo sullo schermo, mentre quello di Lamorisse ci rimanda alla realtà.
La specificità del cinema si palesa non più nel montaggio, che anzi appiattirebbe la narrazione ad un qualsiasi altro tipo di testo, ma nella validità dell'immagine in sé. Le parole di Bazin sono molto chiare:

Eppure la stessa storia, per quanto ben filmata, potrebbe avere sullo schermo non più realtà del libro, e questo nell'ipotesi in cui Lamorisse avesse preso il partito di ricorrere alle illusioni del montaggio (o eventualmente del trasparente). Il film diventerebbe allora una narrazione attraverso l'immagine (così come il racconto lo sarebbe attraverso la parola) invece di essere ciò che è, cioè l'immagine di un racconto o anche, se si vuole, un documentario immaginario

Ci affacciamo dunque sul tema centrale della riflessione di Bazin: l'immaginazione del cinema ha necessariamente bisogno della sua dose di realtà. La finzione vive nel suo rimando al reale.

Ciò che importa è solo che si possa dire allo stesso tempo, che la materia prima del film è autentica e che, tuttavia, << è cinema >>. Allora lo schermo riproduce il flusso e il riflusso della nostra immaginazione che si nutre della realtà alla quale progetta di sostituirsi, la favola nasce dall'esperienza che essa trascende.


Crin-Blanc è un altro cortometraggio di Lamorisse preso in esame da Bazin in queste pagine.


La situazione è paradossale: il cinema per essere tale deve essere reale, ma allo stesso tempo consapevole di essere finzione. Il trucco sarà pure invisibile, ma sarà pur sempre cinema. Perché tra i tanti “escamotage” a disposizione del cinema, solo il montaggio rischia di invalidare il rimando a ciò che deve trascendere e mantenere allo stesso tempo? Punto fondamentale è che per Bazin la realtà deve essere preservata nel “semplice rispetto fotografico dell'unità dello spazio”. In questo il critico si dimostra parecchio radicale: “per esempio, non è consentito al regista di aggirare col campo-controcampo la difficoltà di far vedere due aspetti simultanei di un'azione”.
Addirittura arriva ad enunciare una legge estetica “Quando l'essenziale di un avvenimento dipende da una presenza simultanea di due o più fattori dell'azione, il montaggio è proibito”.
Bazin, però, si preoccupa subito di smussare l'intransigenza di questa legge, proponendo la sua applicazione in base a una distinzione dei generi e dello stile. Il montaggio è dunque utilizzabile, ma non nei casi in cui la sua applicazione “trasformerebbe la realtà nella sua semplice rappresentazione immaginaria (attraverso la rottura dell'unità spaziale dell'avvenimento ndr.)”

Se non tanto nella sua applicazione, la teoria di Bazin è sicuramente affascinante e degna di considerazione. Sicuramente può, e deve essere ripensata, alla luce del cinema moderno. Citando di nuovo Bazin:

Se il cinema comico ha trionfato prima di Griffith e del montaggio è perché la maggior parte delle gag dipendevano da una comicità dello spazio, dalla relazione dell'uomo con gli oggetti e col mondo esterno. Chaplin, nel Circo, è effettivamente nella gabbia del leone ed entrambi sono chiusi insieme nella cornice dello schermo.




Al giorno d'oggi, con la sparizione del set e degli attori stessi (si pensi al mediocre, ma pertinente in questo caso, “Avatar o all'ottimo “Gravity) si può ancora parlare di unità spaziale dell'avvenimento? La corniche dello schermo può essere ancora in grado di racchiudere dentro di sé lo spazio dell'immaginario reale?

Ripensare il Classico

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