domenica 6 marzo 2016

Sulla Fine del Mondo [1] - Pozze e Supercomputer

Non esistono strade e percorsi da intraprendere, siamo alla deriva. In un mare senza orizzonte, galleggiamo goffamente affidandoci a un'idea, la rotta, che nel suo essere altro (parola, come tutto) non può che rendere palese una crepa, una frattura, qualcosa di irreparabile: la nostra direzione è imperfezione.

In una pozza che nasconde i suoi confini, barche di sughero, forse semplici tappi, si muovono trascinate dalle correnti. Se si ha la pazienza, si potrebbe assistere allo scontro dettato dal caso, due corpi che si toccano. Pensando al tempo, nell'astrazione più totale, tutto questo durerebbe non più di un istante, misura certa ma non quantificabile. Tempo e spazio, ospitali quanto spietati, richiedono un sacrificio: la legge, quella fisica, impone l'allontanamento. 

È questo il nostro destino? L'applicazione di un modello matematico così complesso e inafferrabile da poter contenere dentro di sé già tutte le variabili, tutte le possibilità di ogni parametro al fine di  liberare l'esistenza dal fardello della sua potenzialità e mostrarci in un log-file tutto quello che è stato, tutto quello che è e tutto quello che sarà. 

Da qualche parte deve esserci un supercomputer pronto all'uso, che non aspetta altro che venga dato il via, tramite la pressione di un semplice tasto (compiendo finalmente il destino della tecnica), alla simulazione definitiva dell'esistenza. Mi piace immaginarlo come un apparecchio mastodontico, schermo a tubo catodico in 4/3, tonnellate e tonnellate di circuiti stampati, cavi, connessioni. Ma soprattutto, un'interfaccia DOS. 

Il programma, perché definirlo applicazione sarebbe un insulto alla sua atemporalità, parte e compila in un secondo che ha il sapore di diverse eternità, un file di testo che contiene tutte le risposte. Miliardi e miliardi di yottabyte forniscono una spiegazione esauriente, annullano il concetto di tempo e pongono fine alla storia. Per quanto gigantesco, il file è pronto e concreto. La prima tentazione è quello di metterlo su carta solo per quantificare in cartucce da stampante quanto ci sia costato l'Essere. Lo spreco si giustifica nell'attimo in cui, arrotolando su se stesso questo foglio dalle infinite dimensioni, facendo toccare i suoi inafferrabili estremi, ci si rende conto che l'inizio e la fine sono inscindibili tra di loro in  un quasi banale rapporto di causa-effetto che imprime una circolarità senza fine tanto al log, quanto all'esistente. La banalità è evitata perché non c'è un prima e dopo, cause condizioni ed effetti si sovrappongono, rendendo il tutto logicamente percorribile in qualsiasi direzione spazio-temporale.

La rappresentazione definitiva non ha errori, nessun tempo morto, il numero delle interpretazioni possibili è dettato dagli spettatori che la contemplano e, per la prima volta nella storia, sono tutte in fondamentale accordo tra di loro. L'ultimo atto dell'arte, è un foglio pieno di scritte che non indispone nessuno. La più grande e sensazionale scoperta è che l'Infinito non esiste. Tutte le combinazioni possibili di realtà e immaginazione sono elencate minuziosamente in una lista che a tratti annoia, a volte sorprende e spesso commuove. L'infinitamente grande (e il suo inverso) è solo un concetto pensato per rimediare a dei mal di testa lancinanti, una sconfitta di una prospettiva troppo limitante per poter ammettere che l'astrazione non sia un passo necessario e universale della vera comprensione.

Esiste l'eterno, quello sì. Perché nulla si crea e nulla si distrugge. O meglio quello che è, in realtà è già perito, e ciò che non è più non ha mai smesso di essere. E, attenzione, parliamo del mondo fisico, della materia, della nostra carne e del nostro sangue. Arriva un momento in cui le possibilità si esauriscono. C'è un numero limitato di eventi e di combinazioni possibili tra di essi. Un numero spropositato, imbarazzante, ma pur sempre un numero. Potremmo iniziare a contarlo tutti insieme, solo per renderci conto che l'ultima cifra è uguale alla prima, ringraziamo allora di non poter vivere abbastanza per arrivare fino in fondo.

Il tempo non esiste, non come abbiamo imparato a conoscerlo. È un blocco unico, non tripartibile in macrocategorie nè quantificabile. Non è rappresentabile graficamente, non ci sono linee rette nè cerchi che rendano giustizia alla sua totale assenza di complessità. Il tempo è un punto, minuscolo quanto sconfinato, che contiene dentro di sé tutte le declinazioni dell'essere che collassano in una non-direzione irraggiungibile e sempre presente. Il tempo è un attimo, uno schiocco di dita che non accetta catene e compromessi.

Noi siamo, pronti ad essere nuovamente in eterno, ma mai veramente preparati. Siamo lì, nel lago/pozza, in balia del tempo pronti a scontrarci per un attimo che durerà per sempre.

Ed è per questo che ti dico:

Ci incontreremo all'infinito, solo per poterci perdere ancora una volta.