giovedì 13 giugno 2013

Un addio attraverso il cinema: oltre la memoria



Più che testimone, il cinema trascende la sua intenzione iniziale e diviene testamento. L'immagine supera la morte, vince l'abbandono. La scomparsa presuppone l'interruzione del dialogo. Ma è proprio in questa inevitabile conclusione che è affidato allo spettatore il compito più grande: il ricordo, la re-immaginazione del vissuto attraverso il lascito dell'immagine.

Casualmente mi sono imbattuto in due opere molto diverse tra di loro: "Al di là delle nuvole" e il segmento “Che cosa sono le nuvole?” diretto da Pier Paolo Pasolini, parte del film “Capriccio all'Italiana”. I due film hanno alcuni punti in comune. Oltre all'evidente presenza delle “nuvole” in entrambi i titoli, riferimento che non presuppone però una coincidenza tematico-narrativa, a livello formale sono pellicole episodiche e collettive, ovvero dirette da più di un regista. Per il primo abbiamo l'accoppiata Wim WendersMichelangelo Antonioni, dall'altra si affiancano sei registi: Mauro BologniniMario Monicelli, Pier Paolo Pasolini, Steno, Pino Zac e Franco Rossi,  . La coincidenza più importante è che si tratta di due opere che segnano la fine di una carriera: l'ultimo film diretto da Antonioni e l'interpretazione finale di Totò











 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"Al di là delle nuvole": una ricerca senza fine


Nato dalla volontà di Wim Wenders di far tornare alla regia Antonioni nonostante le sue precarie condizioni fisiche, Al di là delle nuvole è un film agonizzante. Quattro storie d'amore impossibili, struggenti ancor prima del rapporto stesso, sono unite meta-narrativamente dal vagare senza direzione di un regista (John Malkovich) in cerca di ispirazione. Il fallimento risiede nell'incapacità di relazionarsi attivamente alla vita. Le fotografie scattate che danno il via alle storie, non riescono ad animarsi realisticamente. La mancata capacità di relazionarsi dei protagonisti è il sintomo, e non l'intenzione, di un film che non è in grado di cogliere il fluire degli eventi. L'unica cosa che riesce ad offrire sono dialoghi freddi, senza reale interazione, un vuoto parlare pseudo-filosofico in cerca di una verità che non potrà mai raggiungere. I corpi recitanti sono così pesanti, a tratti degli automi, che sono incapaci di elevarsi, e il volo finisce ben prima di raggiungere le nuvole.
È nella figura del regista che il film trova il suo riscatto: personaggio autobiografico, riesce a racchiudere un'intera poetica con le sue ultime parole. L'incessante desiderio di andare oltre, di disvelare il mondo attraverso quell'infinito mezzo espressivo che è il cinema, questo è il vero compito di Antonioni e di chi condivide il suo mestiere. La ricerca è senza fine, ma produce risultati incredibili. Anche in un grandissimo intoppo, nella mistificazione più rigida, è la volontà autoriale a presentarsi in tutta la sua voglia di essere: e così per sempre.


"Noi sappiamo che sotto l'immagine rivelata ce ne è un'altra più fedele alla realtà. E sotto quest'altra, un'altra ancora. E di nuovo un'altra sotto quest'ultima. Fino alla vera immagine di quella realtà assoluta, misteriosa, che nessuno vedrà mai."




"Che cosa sono le nuvole?" : il tragico palcoscenico dell'esistenza


In 20 minuti rappresentare l'esistenza intera. Non cercare una soluzione, una chiave interpretativa, ma tutto l'essere nella sua semplicità imperscrutabile. Un palco, degli spettatori, una tragedia sempre in esecuzione, dei burattini, un burattinaio, uno spazzino, la discarica. I punti di vista sono infiniti, gli stessi attori non sono convinti dalle decisioni prese dai loro personaggi, ma non per questo si fermano. La vita va avanti, e la verità è proprio questa: nulla si ferma, tutto continua. Nell'incapacità di eludere il contrasto, l'incomprensione, la sofferenza, qui risiede la vita, ma anche la morte. Tutti gli estremi sono riconducibili ad un'unica unità, crolla qualsiasi volontà interpretativa. Totò è la, per sempre. Nella totale identificazione con Iago, meschino e verde di invidia nella vita ma, allo stesso tempo, genuinamente umano dietro le quinte. Il suo ultimo ruolo non poteva che essere questo. Ogni sentenza un addio, ma ugualmente una mano tesa verso il futuro, un aiuto a vivere per chi verrà dopo di lui. Totalmente assorto nella recitazione, non è più Antonio De Curtis, ma l'immagine ricreata in quell'istante, in questo corto, in ogni attimo della sua carriera. Muore, così come nella vita. Nell'oblio della discarica, putrefazione della storia, solo allora può osservare le nuvole: straziante, meravigliosa, bellezza del creato.


"Eh figlio mio... Noi siamo in un sogno, dentro a un sogno"


Ci rivedremo là, tra le nuvole


Due film diametralmente opposti, uno un pasticcio, l'altro un capolavoro di poetica inserito in una simpatica commedia (ma niente più). Poco importa, li sento così vicini. Sono solo due esempi dell'inesauribile potenza poietica del cinema, che può donare l'immortalità. È nella creazione che l'uomo si trascende. È il cinema che ripaga lo sforzo e, attraverso l'immagine, garantisce la voce, la possibilità di esprimersi a chi è in grado di trasmettersi nello spettatore, evitando così l'inevitabile: l'interruzione più grande di tutte. La volontà di Antonioni vivrà per sempre nelle parole di Malkovich che sparisce dietro la finestra, l'umanità di Totò per sempre rafforzata nella mistica saggezza donatagli da Pasolini. Le nuvole, così come nel primo film, si superano con un aereo meccanico, ma non accade nulla. Non vanno oltrepassate, vanno osservate: solo così si esce da sé stessi.




                 "-Cosa senti dentro di te? Concentrati bene, cosa senti, eh?

                 -Si si, si sente qualcosa che c'è!

                -Quella è la verità... Ma shh... Non bisogna rovinarla. Perché appena la nomini, non c'è più"


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