venerdì 31 gennaio 2014

La Strada [Fellini Checklist 5/24]



 
Dopo l'incessante girare su se stessi de i Vitelloni, primo grande capolavoro del regista, il cinema di Fellini, con La Strada, si appropria di una sua direzionalità. Un percorso senza una meta, ma sempre in avanti, la vita dei due artisti di strada (Anthony Quinn e Giulietta Masina) è un continuo abbandono, di sé e del mondo, che non permette nessun contatto con il reale: ogni radice è negata. L'animalesco Zampanò e la povera Gelsomina, sono due nullità senza una vera identità, vittime di una Storia che non tiene traccia della moltitudine. La loro unica verità, ormai (o già?) punto cardine della poetica di Fellini, è la possibilità attrattiva nei confronti del pubblico. Quando la loro strada, infinita linea retta, diviene un punto, centro di una circonferenza di spettatori, solo allora i due invisibili straccioni trovano conferma della loro esistenza nello sguardo meravigliato di chi li osserva. Il trucco, la maschera, il clown: nel simbolo massimo (come già notato nei Vitelloni) dell'irrazionale ingiustizia della vita, dove si ride del dolore, e le lacrime non hanno più un'origine definita, in questo corto circuito emozionale abita la giustificazione, il sentimento più prossimo ad una felicità identitaria. L'unica casa possibile per Melina diviene il carretto di Zampanò, il mezzo del suo continuo viaggiare e rinnovarsi, quanto di più altro da sé. (A questo proposito, consiglio la visione di Holy Motors di Leos Carax).






L'attenzione maniacale alla spettacolarità del gesto da Parte di Fellini porta ancora una volta ad una messa in scena surreale e perfetta allo stesso tempo. Sconfinati paesaggi in continua trasformazione, spettacoli funambolici, folle sterminate: una grandissima varietà di situazioni che non mette mai in secondo piano la magistrale interpretazione di Giulietta Masina, che con i suoi movimenti imbranati e il suo sguardo semplice e sognante, riesce a creare un mondo all'interno del mondo. Incredibile come l'uso della musica sia già giunto ad un livello elevato di consapevolezza, e vediamo, anzi sentiamo, come essa diventi parte integrante della narrazione: l'addio finale, drammatico e struggente, non è affidato alle parole ma all'inconfondibile tema (scritto da Nino Rota) della tromba di Gelsomina. Musica e narrativa si fondono in modo fluido e naturale, divenendo l'una l'estensione dell'altra.





Il superamento del neorealismo avviene proprio nel suo campo formale, nel suo spazio contenutistico: è lo scendere in strada, zona del reale per eccellenza, che apre definitivamente le porte ad uno sguardo altro, ad un orizzonte oltre. Necessità espressiva ormai spenta, dopo il goffo tentativo di rivitalizzazione dal nome “L'Amore in città”, vero e proprio Frankenstein senza anima, il neorealismo abbandona definitivamente il cinema italiano. Le spoglie macerie di un'Italia occupata, liberata e poi occupata di nuovo, di un paese in perenne ricostruzione, non sono più il punto di arrivo ma solo quello di partenza: è l'individuo/regista che rivendica la sua voglia di raccontare, il suo bisogno di creare. La strada apre le porte al circo.



2 commenti:

  1. Non vorrei sembrare troppo ripetitivo né, tantomeno, melense... ancora una volta ottima critica, lucida e sapiente, che coinvolge e trascina. Pienamente d'accordo sulla straordinaria interpretazione di Giulietta Masina. Trovo particolarmente interessante il riferimento (ma non poteva essere altrimenti, vista la tua grande passione!) alla musica ed alla sua commistione con quanto espresso dal tema narrativo.
    Grande lavoro, Michele!

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    1. Ma che te lo dico a fa... Grazie :)
      Un grandissimo supporto dal mio (quasi) unico lettore! Sono quasi riuscito a prendere il ritmo giusto, e mi sto divertendo parecchio a scrivere questi post giornalmente. Nonostante tutto, i tuoi commenti mi lasciano ancora di stucco! Grazie ancora, a presto!

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