giovedì 2 maggio 2013

Solo su richiesta [2]: Il Grande Lebowski



« Recensisci Il Grande Lebowski.»
« Dai, un film così bello ed importante?»
« Mi ha fatto schifo.»
« Cosa?!? Ma come, c'è il Drugo che...»
« Mi ha fatto cagare.»


Se demolire qualcosa di sgradevole è uno degli atti più naturali, e risultare simpatici nel farlo è di una semplicità sconcertante, la situazione opposta mette in crisi. Parlare male di qualcosa che ci è piaciuto non è una semplice forzatura, è proprio impossibile. Lo metto subito in chiaro: Il grande Lebowski è un ottimo film. È divertente, fa ridere. Insomma: funziona. Il rigido H., committente di questa recensione, non riesce a capire cosa ci sia di simpatico nel Drugo e nella sua strampalata avventura. Questo, è un problema. Perchè, ok: i gusti sono gusti, non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace, e tanta, TANTA, altra saggezza popolare, ma in quanto fervente sostenitore della presenza di un certo criterio di oggettività nel mondo, che trascende i nostri sensi e la nostra opinione (grazie, Immanuel), non posso certo accontentarmi del grandissimo classico“la pensiamo in modo diverso, pace”. Nel rispetto dell'opinione altrui, non si può neanche spiegare come e quando bisogna ridere, è un discorso che non ha senso. Si, insomma, secondo episodio de “solo su richiesta” e già mi sono impantanato. Cosa fare? L'unico atto possibile è quello di indagare il punto di vista con cui si approccia il film. Due piccioni con una fava: rispetto il giudizio del severo H. e rendo giustizia al contenuto dell'opera dei fratelli Coen. Semplice no? In realtà no. Recensire un giudizio su una pellicola, per correggerlo e ricavarne così una nuova recensione. Argh. Malefico H., hai complicato le cose.


Solo su richiesta: Il Grande Lebowski



The Big Lebowski
Titolo italiano
Regia
Anno
Genere
Con
Il grande Lebowski
Joel Coen
Etan Coen
1998
Commedia
Jeff Bridges,
John Goodman
Jeff “Drugo” Lebowski è uno slacker, un vero parassita della società. Tra una partita a bowling e uno spinello la vita, passata in accappatoio, scorre senza pensieri. Un giorno però, tornando a casa, è vittima di un'aggressione: due loschi figuri pisciano sul suo tappeto. In cerca di un riscatto morale, il Drugo si caccerà in una storia ben al di furoi della sua comprensione...

 

 

Non essere apprezzati: a volte capita.

 

 

In principio, non rideva nessuno


Partiamo da un dato di fatto. Il grande Lebowski alla sua uscita, è stato accolto molto freddamente: pochissimi incassi e semi-bastonato dalla critica. Il poco-divertito H. può tirare un sospiro di sollievo: non è stato certo l'unico a non apprezzare il film. Il problema nasce dal fatto che, col passare del tempo, la pellicola è divenuta un “cult-movie”. Un fenomeno non solo americano, ma internazionale. Il suo gradimento non è legato a un determinato contesto culturale. Si potrebbe pensare “bowling, slacker, cowboy e Tara Reid: puoi ridere solo se sei uno yankee”, ma niente. Piace proprio a tutti. La difficoltà iniziale però rimane, e va segnalata: non è un film così immediato come si potrebbe pensare. Va inquadrato e contestualizzato, altrimenti qualcosa si perde.


Attento che ora arrivano i paroloni difficili...


Idiosincrasia e percorso onirico


Lo ammetto: è scrivendo questo post che mi sono imbattuto nel termine “idiosincratico”. Non lo scrivo per darmi delle arie pseudo-intellettuali, ma proprio perché, come termine, descrive alla perfezione il Drugo. In letteratura il personaggio idiosincratico è quello che si genera dal nulla: non segue nessuno schema prefissato, non si riallaccia a nessun topos preesistente. Non è né un eroe, né un anti-eroe: non ha precedenti. Nasce qui, molto probabilmente, l'avversione ed il distacco, o meglio, la non comprensione dell'infastidito H. Però la creazione idiosincratica va oltre l'iniziale senso di smarrimento dettato dalla mancanza di punti di riferimento: l'antipatia si rovescia, incredibilmente, nella familiarità. Si crea una grammatica ed un contesto, il nuovo linguaggio viene accettato. L'identità istituita si muove su un piano trasfigurato, prettamente onirico. Anche su un livello generale, limitato in partenza al protagonista ed ora sfociato nella totalità della struttura narrativa, il riconoscibile e l'estraneo continuano a coesistere. Così la noia esistenziale, immersa nello squallido contesto culturale della Los Angeles fine anni 90, viene trascesa in una sur-realtà che destabilizza. La partenza e l'arrivo sono una partita a bowling, il percorso è l'assurdità più totale (da qui la centralità delle due scene oniriche). Che l'abitudinario H. ami viaggiare solo su binari già tracciati?


Immaginario monotematico.


Presentano: i fratelli Coen


Accettate le premesse (non necessariamente in modo conscio), il film si rivela incredibile in ogni suo aspetto. I fratelli Coen, alla regia, non deludono affatto (le già menzionate scene oniriche sono visivamente impressionanti). Ottimo cast e fantastica colonna sonora (la presentazione di Turturro con “Hotel California” versione spagnola in sottofondo, è geniale). Sostanzialmente è un film che ha un ritmo forsennato che tiene incollati allo schermo per tutta la durata: 120 minuti non sono certo pochi, ma non si accusano minimamente. Saranno i personaggi “idiosincratici”, o forse l'alchimia tra di essi che crea dei dialoghi assurdi ma allo stesso tempo divertenti: in ogni caso, non ci sono momenti di stanchezza. Così tra una pisciata su un tappeto e un finto rapimento andato male, succede di tutto: una miriade di personaggi e di situazioni si succedono senza un attimo di pausa. Tutto poi assimilato dal punto di vista “rallentato”, un po' per scelta di vita, un po' per l'eccesso di spinelli, del protagonista, interpretato da Jeff Bridges, vera colonna portante del film.
A parte questi brevi accenni di carattere generale, non analizzo nessuna scena in particolare perché sarebbe un torto parlare di ciò che, sostanzialmente, va visto. Non mi sento di mettere in evidenza né un punto particolarmente riuscito né uno che fa storcere il naso: nel complesso, ritengo non ce ne siano.


"Lenin, non Lennon!"


Quindi?


Il punto di vista dell'indispettito H. è comprensibile, ma non necessariamente condivisibile: Il Grande Lebowski non è il capolavoro che molti, con un eccesso di entusiasmo, ritengono. Non è, però, neanche un film stupido e privo di idee. Anzi, in questi termini, ne è sovrabbondante. È proprio questo suo eccesso di stile, questa sua forte caratterizzazione, che lo porta ad essere una storia non per tutti. Vanno accettate, o meglio, riconosciute, delle premesse, e da lì può iniziare l'apprezzamento. Che diverta o meno, si cade, purtroppo, nel gusto personale. Non si può, però, negare la validità ad un prodotto confezionato in maniera superba che riesce, in un mare di mediocrità, a rivendicare una sua identità precisa.

Gentile signor H., si ravveda.


Indimenticabile

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