lunedì 22 aprile 2013

Solo su richiesta [1]: Crash - Contatto Fisico



«Proponimi un titolo per una recensione.»
«Crash»
«Dai non ci credo, quello di Cronenberg?»
«Boh non lo so. Però ci sta Sandra Bullock ...»






Inizia così la rubrica delle recensioni su richiesta. Crash è un film che non avrei mai visto. Il Dottor C. me ne ha consigliato la visione. Il fatto che consideri il Dottor C. una persona ai limiti della moralità, in altre situazioni mi avrebbe portato ad ignorare con un sorriso di circostanza il consiglio di un individuo che, insomma, non è che abbia i gusti proprio raffinati. Nella sua macchina ho sempre ascoltato due soli cd: un live di Ligabue e “La dura legge del gol!” degli 883. Ovvio che al nome di Crash, seguito da quello di Sandra Bullock e condito con un per niente rassicurante “e invece guarda, ti sorprenderà”, sarei dovuto fuggire a gambe levate. Il Dottor C. però è il primo ospite/protagonista di questa rubrica. Non si scappa. Ecco a voi: 

 

Solo su richiesta: Crash - Contatto Fisico 

 

Crash
Titolo italiano Regia Anno Genere Con
Crash – Contatto Fisico Paul Haggis 2004 Drammatico Sandra Bullock,
Don Cheadle
In una Los Angeles violenta e razzista, sembra impossibile ormai rapportarsi all'altro in maniera genuina e sincera. Numerosi personaggi si muovono nella città, isolati dalla loro stessa diffidenza. Agiscono in un contesto che li rende intimamente vicini, seppur inconsapevolmente...

 
Crash è un disastro. Se il film fosse un incidente sarebbe un tamponamento maldestro, di quelli che non ti capaciti di come sia potuto accadere. Sei la, pronto a fare il CID, incazzato nero, ma alla fine nessuna delle due macchine si è abbozzata. Rimane l'incazzatura, ormai mista al risentimento e a un senso di rassegnazione. Uno sguardo d'intesa con l'altro autista, si rimane in silenzio, si rientra in macchina e via, estranei come prima. Ma come guida la gente? Era meglio rimanere a casa.


In una recente intervista, Sandra Bullock ha dichiarato di ispirarsi pesantemente alla figura di Daniela Santanchè.


L'intento di Crash è quello di risultare un film intelligente, impegnato. Non riesce però a sollevarsi da una pretestuosità di fondo che lo incolla alla mediocrità. La volontà di dipingere un grande affresco, dove ogni singolo evento è collegato in maniera naturale da una cieca ma imperscrutabile causalità, fallisce nell'essere il perno della narrazione e risulta solo un piccolo accidente. Da fissare l'attenzione sull'anno di uscita del film, il 2004. È l'anno in cui inizia anche Lost: l'immaginario americano sembra volersi appropriare di un misticismo fatalista culturalmente lontano dalle sue radici. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Da notare subito due aspetti del film. Il mio odio per Sandra Bullock non inficia certo la pretesa di universalità del mio giudizio: oggettivamente, è proprio inguardabile nella sua plasticosità. In più ha il ruolo di una stronza colossale aggiunta solo per far numero. Per il resto, tra Matt Dillon, Ludacris e Brendan Fraser la scelta del cast risulta poco credibile e, volendo, infelice.
Anche la colonna sonora si inserisce perfettamente in un clima di banalità imperante. Si inizia con una pedante melodia dal sapore orientale, che ci accompagna per tre quarti del film, usata per ricordarci ossessivamente – per la serie: non si sa mai quanto può essere stupido chi ci guarda – che siamo tutti collegati, che ci sono il karma e tanti altri concetti sfuggevoli che nella loro non reale presenza ci DEVONO impressionare. La musica segue il dipanarsi della storia, e all'americana redenzione di una società piena di individui distanti e razzisti, ma tutto sommato buoni se sollecitati dal caso, corrisponde il melenso pop-rock degli Stereophonics. La classica canzone da sguardi fissi nel vuoto durante la realizzazione “ammazza che cosa assurda la vita” (ma anche questo film non scherza).  Da un punto di vista musicale, il prodotto finale non riesce a superare l'alone di mediocrità che circoscrive ogni suo aspetto.
Per quanto riguarda il lato narrativo, la forzatura non risiede solo nell'intreccio di storie sostanzialmente banali e stereotipate, ma nella modalità in cui esso stesso si dipana. Abbiamo così la prima metà del film volta a delineare in modo manicheo i personaggi: circa un'ora di banalità e insulti razzisti solo per farci capire quanto l'uomo moderno sia incapace di rapportarsi verso l'altro. Tutto gestito in un modo così stucchevole e ridondante da perdere di credibilità: non che Sandra Bullock ne abbia mai avuta una. Ma alla battuta di Don Cheadle “mamma lasciami perdere sto facendo sesso con una donna bianca” non si sa se bisogna ridere o piangere.


"Ciao mamma"

La seconda parte del film, partendo da delle basi non proprio solide, si risolve in un nulla di fatto: gli “incontri”, non necessari e telefonati praticamente da inizio film, non sono privi di pathos emozionale, ma sono incapaci di concretizzarsi in qualcosa di interessante. Il regista, Haggins, ci ricorda che dopotutto la sua è una produzione Hollywoodiana, l'ennesimo polpettone sentimentalista e melodrammatico che non ha il coraggio di turbare fino in fondo i suoi potenziali spettatori.
Il film si chiude nel più classico dei modi: redenzione, consapevolezza (anche se non si sa bene di cosa) ed ennesimo, gratuito, incidente stradale che vede coinvolta, guarda caso, una tizia che era già apparsa su schermo, ma di cui sinceramente non ce ne fregava niente. Il film, per l'ultima volta, ammicca spudoratamente allo spettatore, per appellarsi al suo auto-compiacimento implicito nel riconoscimento: peccato che il puzzle da ricostruire sia di soli 5 pezzi, non c'è nessuna arguzia di fondo nel comprendere la trama, solo una ruffiana messa in scena pensata per accrescere l'auto-stima dello spettatore medio.
Alla fine, non rimane che stringere un santino di San Cristoforo (che a quanto pare, porta sfiga) e si piange. Un pianto triste dove scorrono lacrime di rammarico ma consapevoli in quanto pseudo-edificanti: in fondo che ci vuoi fare, è la vita. Gli americani, però, non sanno guidare.

San Cristoforo, pensaci tu...

 

Alcune scene


- Ludacris si cimenta in uno spiegone su come funzionino in realtà le dinamiche razziste in una società dominata dalla sfacciataggine dell'uomo bianco. Tutto con un dialogo frenetico, senza pause, una parlantina veramente cool. Poi, portato lo spettatore dalla parte del povero discriminato, estrae la pistola e ruba una macchina. Due considerazioni:
1)  Hai comunque rapinato Sandra Bullock e Brendan Fraser, chi sono io per condannarti?
2) Tutto questo non può che riportare alla mente la scena iniziale di Pulp Fiction. Solo che quella scena funzionava in ogni suo aspetto: didaloghi ed attori compresi. La rapina coglieva di sorpresa nel film di Tarantino, qui strappa un sorriso.

Fraser in una delle sue caratteristiche, ed involontarie, espressioni facciali.

- Scena di grande pathos quella del poliziotto che si prodiga per salvare la donna, molestata in precedenza (!!!), intrappolata in una macchina che sta per esplodere. Una giusta scelta delle inquadrature e dei tempi riesce a catturare l'attenzione. Peccato che tutto si risolva, annullando qualsiasi aspettativa e credibilità, nel migliore dei modi possibili. Donna salva, poliziotto semi-redento.


E vissero felici e contenti.

- Sintomatica la scena del set televisivo. Il registra, viene obbligato a ripetere una scena da un altro personaggio, di cui non si capisce bene il ruolo, ma ce lo immaginiamo. La scena, buona per il regista, è da rifare perchè l'attore nero ha usato un linguaggio non consono a un personaggio di colore. La tv deve riproporre gli stereotipi che fanno sentire comodi gli spettatori sulla loro poltrona. Qui il violento ed implicito imporsi del razzismo nella comunicazione di massa. Peccato che tutto questo arrivi dopo quaranta minuti di insulti a cinesi, negri, ispanici etc. etc. portati unicamente per caratterizzare i personaggi e il contesto in cui si muovono. Quello che vuole passare per un atto di denuncia, è in realtà l'unico terreno su cui la pellicola riesce a muoversi e a svilupparsi. Il film drammaticamente, poiché inconsapevolmente, accusa sé stesso, nel disperato tentativo di legittimare una banale identità.

"Cerca di essere meno erudito e più negro!"

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