sabato 27 aprile 2013

L'angelo sterminatore



 El Angel Exterminador
Titolo italiano Regia Anno Genere Con
L'angelo sterminatore Luis Buñuel 1962 Drammatico Silvia Pinal,
Enrique Rambal
Dopo una serata a teatro, una famiglia di borghesi invita un gruppo di aristocratici a cena. Gli invitati, stranamente, si ritrovano a passare la notte nel salone della casa. La mattina seguente, con loro grande errore, realizzano di non essere in grado di uscire dalla casa...



Giustificazione sulla pretesa del dialogo 

 
È dopo la visione di pellicole come L'angelo Sterminatore che ci si rende conto che il senso si genera nella sua assenza. È la cultura che ci impone il nesso logico, è l'horror vacui ad esigere il totale riempimento. Di fronte a questo film, essenzialmente impenetrabile, è difficile trovare l'approccio corretto. Escludendo qualsiasi intento interpretativo, una sua recensione non può che basarsi fortemente sul punto di vista dello spettatore. Superata la premessa narrativa della prigionia nella casa, unico dato concreto della storia, il resto è lasciato al senso interno del fruitore: l'opera può acquistare una direzione, solo se presa in simbiosi con ogni sua determinata ricezione. Il testo proposto è quindi la presa in considerazione, fortemente soggettiva, di alcuni elementi arbitrari. Punti sconnessi, quasi appunti scritti di getto, risultano per me l'unica via di accesso, l'unica strada percorribile in un labirinto sconfinato. L'unico senso possibile, nel surrealismo più autentico.

Storia di un ritardo


Parlare oggi di un film uscito nel 1962 potrebbe sembrare un contro-senso, un appuntamento mancato con un dialogo ormai morto. Credo, però, che l'assenza di contenuto logico-razionale permetta a quest'opera di uscire dal suo tempo e riformularsi ad ogni sua visione. L'angelo sterminatore sempre sarà, pur non essendo mai. Suggerimenti, suggestioni, colgono lo spettatore e lo scuotono nel profondo, scevro da ogni sua determinazione intellettuale. Il vantaggio di essere in ritardo è quello di aver disponibile una maggior consapevolezza sulla genesi dell'opera, grazie a studi e ricerche svolte in merito. Leggendo le informazioni contenute nel libretto dell'edizione integrale della dynit, emerge un punto fondamentale: la prima edizione italiana è falsata. Nel montaggio, in quanto non viene colta la radicale scelta di Buñuel, e nella traduzione. Molte scene riportano dialoghi completamente modificati che stravolgono il senso della pellicola. O meglio: con l'inserimento di queste modifiche, i traduttori, alludono ad un disegno, ad un senso vero e proprio, che non è presente nell'opera originale. Ad esempio, identificando l'orso con l'angelo sterminatore, si depista completamente lo spettatore, in quanto è portato a credere che la comprensione del film, una volta riorganizzati gli indizi, sia possibile. Tutto ciò non può avverarsi. Le stesse parole di Buñuel sono chiarificatorie:

“Se il film che state per vedere vi sembra enigmatico, o incongruo, anche la vita lo è. È ripetitivo come la vita, e, come essa, soggetto a molte interpretazioni. L'autore dichiara che non ha voluto giocare su dei simboli, almeno coscientemente, Forse la migliore spiegazione per L'angelo sterminatore è che, ragionevolmente, non ne ha alcuna”




L'immobilità dell'uomo: coazione a ripetere


Comunemente riconosciuto, il perno narrativo della cattività nel salone può essere visto come una metafora dell'incapacità di rinnovarsi da parte della borghesia e, nel finale, della Chiesa. Esse divengono istituzioni morenti in quanto non in grado di uscire dal loro dogmatismo. Non possono far parte della società, lo spazio comune è vietato. L'isolamento, però, è una condanna auto-imposta: non c'è nessun ostacolo, solo un'incapacità di fondo. Il difetto, la mancanza, risiede nella volontà mistificatoria di escludere la corporalità dalla propria essenza. Anche nel momento più basso e degradante, dove gli uomini ormai hanno perso la conquista della posizione eretta e si aggirano per il salone a quattro zampe, l'istinto di conservazione di una coscienza collettiva non si spegne. La morte, il sesso e la passionalità, il putrido e gli escrementi, tutto viene celato: che sia un armadio o uno sgabuzzino, tutto viene chiuso a chiave e celato alla vista. Nel palcoscenico della propria esistenza, la borghesia in putrefazione non può mettere in scena ciò che razionalmente sfugge al controllo dei suoi componenti. Le sfere non individualizzabili delle pulsioni e dell'inconscio, insieme all'ineludibilità della propria corporalità, devono essere rifuggite in nome di un'identità collettiva, pena l'estinzione. La sopravvivenza viene dunque affidata alla ripetizione, intesa come volontà di ritorno ad una condizione che esula dal confronto, dall'autocoscienza. Ma questa non è una salvezza: il senso della vita non può essere racchiuso in un rifiuto razionale, non si può pretendere l'atemporalità nell'esistenza. L'ottica generale non è quindi quella limitata della borghesia, è la vita ad essere chiamata in causa, come accennato dall'autore nelle parole introduttive al film. L'angelo sterminatore, mai nominato nella versione originale, è a mio avviso il dramma identitario: è esso che reclama a sé, al proprio sguardo giudicante, l'uomo nel suo più intimo luogo. La società contemporanea è destinata all'immobilismo. L'uomo è un animale morente, le sovrastrutture istituite (emblematica la coazione a ripetere nella chiesa) un medicinale che non cura ma ritarda all'infinito l'inevitabile fine.




Il montaggio nelle relazioni


Le convenzioni sono la sovrastruttura che crea la maschera dell'animale: l'uomo. Ciò che esso guadagna in identità lo perde in possibilità di relazione. In questa ottica colgo un senso nelle scelte di montaggio: le più grandi e palesi ripetizioni, avvengono nell'introduzione degli ospiti. Sia quando tutti entrano nel contesto, la villa, sia nel momento in cui si presentano tra di loro. Il mondo asettico della formalità, imbrigliato nella violenza delle regole comportamentali, annulla qualsiasi deriva contenutistica del conoscersi: gli incontri avverranno infinite volte, ma non saranno mai genuini. Non c'è nessun reale intento comunicativo nell'affacciarsi all'altro e una reazione vale l'altra: in ogni caso, non sarà recepita.



Il simbolismo: lo scherzo


Il simbolismo alla base dell'opera è accidentale. Le immagini prese in prestito sono solo richiami all'esperienza, suggestioni allusive ad un vissuto privato ed impenetrabile del regista. La critica interpretativa non può muoversi su di un piano razionalmente logico, non c'è alcun nesso tra gli elementi del film. L'angelo sterminatore non è un'entità metafisica, non c'è nessun rimando reale alla Bibbia: esso è solo un titolo accattivante, scelto per attirare l'attenzione tramite un potente suggerimento, destinato però a non rappresentare ciò a cui allude.
La cena, pensata dalla padrona come un grande scherzo, è un indizio di questa costruzione. Gli agnelli e l'orso, che nella loro presenza così decontestualizzante scatenano un processo inquisitorio nella mente dello spettatore (agnelli come vittime sacrificali? L'orso come riferimento alla russia e alla sua egemonia? O va interpretato anch'esso in senso biblico) che muore nello stesso momento in cui si origina: gli animali solo solo un altro tassello di una grande farsa, non ci sarà mai dato conoscere il loro ruolo. La pellicola è surrealista in senso stretto.


3 commenti:

  1. Una interessante e approfondita recensione. I miei complimenti. Questo per me è il modo di approcciarsi a un film. Discorso pieno di spunti e stimoli. Grazie per la visita. In effetti anch'io mi rammarico per non avere aggiornato il mio blog per quattro lunghi mesi (purtroppo seri e complessi problemi personali e familiari).

    RispondiElimina
  2. Grazie a te per il commento ed i complimenti. Il feedback di chi legge per me è fondamentale, visto che questi sono i miei primi passi non solo nel mondo dei blog, ma anche in un'ottica di cinema vissuto "criticamente". Sono contento che, nonostante i problemi, tu sia tornato ad aggiornare il blog. Ciao, a presto!

    RispondiElimina
  3. Un film meraviglioso, attualissimo, uno specchio anche della società odierna, un continuo cercare problemi e cercare di risolverli che maschera problemi più profondi, che non vogliono essere toccati...

    RispondiElimina