mercoledì 12 febbraio 2014

Amarcord [Fellini Checklist 17/24]

[link alla CHECKLIST]









"Amarcord" è il film che Fellini ha sempre cercato di fare. Dopo anni di esperienza, pellicole tra le più variegate, il regista sembra tornare alle sue origini. Sceglie infatti di raccontare, proprio come ne “I Vitelloni”, un'Italia provinciale ormai sparita, il suo paese natale ancor prima di essere adottato da Roma, insomma, sceglie la strada del ricordo. L'elemento autobiografico però si arricchisce dell'esperienza formale acquisita con i suoi precedenti sforzi, in particolare i docufiction “Block-Notes di un Regista” “I Clowns” e “Roma”, e il film non risulta una semplice reiterazione di temi già trattati, ma anzi, presenta un'identità ben definita.







Amarcord”, proprio perché sinceramente felliniano, presenta tutti gli elementi cari al regista. Primo tra tutti, la narrativa spezzettata in episodi sussistenti tra di loro, che condividono solo il contesto e personaggi ma non un nesso causale. Sebbene prevalentemente una commedia, il film, e in questo ricorda parecchio “Roma”, non è ascrivibile a nessun genere. La storia è piegata alla potenza espressiva della ricerca estetica: molti episodi, infatti, culminano nello sguardo meravigliato dei personaggi (ad esempio l'episodio del pavone. Ma anche quello del “Rex” indica proprio il primato narrativo della vista sull'azione). Reale e onirico, come sempre, trovano continuità nella messa in scena felliniana, che legittima qualsiasi deviazione dal credibile tramite la consapevolezza della potenza trascendentale dell'immagine. Inoltre, il tutto trova un ulteriore rafforzamento nell'impianto concettuale che permea l'essenza del film. È il ricordo a giustificare l'inverosimile, è l'oblio del tempo a rendere opache le zone di confine tra sogno e vita. “Amarcord” è la fusione, sempre più perfetta, che Fellini va cercando dal suo primo film.







Amarcord è originale e originario. L'elemento creativo risiede già nel titolo. Non è la prima volta che il linguaggio cinematografico di Fellini viene assimilato dal linguaggio comune (ad esempio il personaggio “Paparazzo” de “La Dolce Vita” diviene nome comune di una categoria) ed è così che la crasi dialettale Amarcord (dal romagnolo “ a m'arcord”, ovvero “io mi ricordo”), diviene un neologismo della lingua italiana, indicante una rievocazione in chiave nostalgica. Ecco, per capire Amarcord, e il cinema tutto di Fellini, è fondamentale fermarsi su questa qualità poietica extra-filmica delle sue pellicole. La grandezza del regista risiede nell'aver saputo creare, attraverso il mezzo cinema, un universale biografico: in pochi, forse nessuno, hanno saputo parlare così intelligentemente di sé, così genialmente, da divenire interpreti non solo del proprio tempo, ma di un popolo intero. 







Va notato come, significativamente, Fellini scelga di non scendere in prima persona nel racconto. Non solo tramite la scelta di un alter ego (Moraldo/Titta) ma proprio nella mancata riconoscibilità della sua persona come narratore. Anzi, lo stravagante narratore che compare ogni tanto tra un episodio e l'altro, viene continuamente ridicolizzato e ammutolito dal film. Il punto di riferimento felliniano, la necessità di dichiararsi guida dell'opera non è più necessaria. “Amarcord” vive al di là della soggettività, è una sorta di sogno condiviso dove ogni parte ha pari dignità. L'elemento autobiografico si annulla e si espande nel dipinto di una nazione. Fellini, però, non rinuncia al suo linguaggio, alla sua poetica. È il pubblico che si riconosce nel suo surrealismo, non c'è nulla di accomodante nei suoi film. Amarcord segna la coincidenza totale tra Fellini e lo spettatore, un racconto privato pensato per se stesso, ma sentito come proprio da tutti. Amarcord è memoria universale, ricordo collettivo. Indimenticabile.






Nessun commento:

Posta un commento