giovedì 13 febbraio 2014

Il Casanova di Federico Fellini [Fellini Checklist 18/24]

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Dopo più di 25 anni dal suo debutto nel ruolo di regista, Fellini ha chiaramente raggiunto un'età di maturità artistica. “Il Casanova di Fellini” si configura come una sovraesposizione delle caratteristiche proprie della sua cinematografia che però, esaurisce la sua carica sperimentatrice all'interno dei confini tracciati in precedenza. Sia ben chiaro, la meraviglia non viene certo a mancare: come di consueto Fellini riesce a parlare un linguaggio sempre diverso ma riconoscibile, trova nuovi escamotage e soluzioni formali che arricchiscono la sua tavolozza espressiva. Manca quella ricerca tesa a sfondare i limiti grammaticali e conoscitivi del cinema. La perfezione tecnica artigianale de “Il Casanova”, proprio come la donna meccanica, è anche il suo limite, la sua chiusura. Non si trova quella sincera ingenuità, quell'eccesso residuale che rendeva più interessanti film sicuramente meno riusciti: lo sbilanciatissimo (in ogni suo aspetto) “Giulietta degli Spiriti” potrebbe essere un ottimo esempio. In quel caso Fellini non si poneva nessun limite nell'uso del colore, utilizzato per la prima volta in un lungometraggio, e il risultato, barocco e grottesco, impressionava per la sua imperfezione. Da quel di più, per molti un passo falso, si sono potute generare le premesse formali entro le quali si muove “Il Casanova”. Se da una parte si trova l'equilibrio, dall'altra il film non possiede quella dirompenza espressiva che tipicamente catturava lo spettatore in ogni film di Fellini.







Contemporaneo a “Barry Lindon” di Kubrick, “Il Casanova” sebbene ne condivida le premesse (la messa in scena storica. Se si vuole, “il film in costume”), formalmente si colloca all'opposto. La pellicola di Fellini, infatti, è innanzitutto incentrata sulla messa in scena di spazi chiusi, al limite del claustrofobico. Inoltre, all'attenzione maniacale nella ricostruzione dei vestiti dell'epoca, sforzo che valse l'oscar ai miglior costumi nel '77, si affianca la scelta volutamente surrealista, di ricorrere a fondali dipinti e ad un grande uso di materiali plastici nella composizione della scenografia. L'anti-naturalismo non viene per nulla mascherato, anzi viene posto in evidenza: il mare in tempesta all'inizio del film è un ottimo indice del lavoro svolto per tutto il film. Questo contrasto tra personaggi e contesto, risulta nell'ennesima intuizione autoriale di Fellini che riesce a donare un'identità estetica definita ed unica ad ogni suo prodotto. L'immagine diventa quindi perfetta espressione, e sua naturale estensione, di una narrativa incastrata tra storia, sogno e ricordo.







La “maturità” di Fellini ha il pregio di essere pensata come tale da chi conosce le sue opere. “Il Casanova” è un film che poteva arrivare solo in uno stato avanzato di una carriera, non solo per il pregresso su cui è costruito, ma anche perché una pellicola del genere può essere concessa, in termini di fruizione/pubblico ma anche realizzazione/produttori, esclusivamente ad un regista affermato. L'inibizione con cui Fellini parla del sesso (argomento centrale ma quasi sempre sotterraneo nella sua cinematografia) ne “Il Casanova” è possibile solo se viene concessa carta bianca da parte del cinema stesso. Il regista, privo di ogni limite, affronta l'ultimo grande tabù della cultura occidentale con disinvoltura e senza mai cadere nel ridicolo, o ancora peggio, nel volgare. Anzi, notare come le scene di nudo vengano limitate rispetto ai suoi film precedenti. Nell'affrontare frontalmente il sesso, Fellini preferisce alludere solamente all'immagine (a tal proposito, i simboli fallici si sprecano, e l'episodio della “balena mona” rientra proprio nel discorso dei confini attraversabili solamente da un autore riconosciuto come tale) e le scene di passione vengono rappresentate volutamente in modo parodistico. Ciò che caratterizza l'erotismo de “Il Casanova” è la sua totale inscindibilità dall'impulso di morte, volontà di annullamento. Seconda grande intuizione di Fellini, questa volta a livello contenutistico, è scegliere di portare Eros e Thanatos sempre ed indissolubilmente legati.










Le avventure di Giacomo Casanova, “vitellone invecchiato”, sono una continua ricerca del totale abbandono di sé, ogni orgasmo una dichiarazione di sconfitta. La sottomissione alla donna/madre è totale, incessantemente il protagonista farnetica una riappropriazione inesistente, un ritorno nel grembo pre-natale nel momento di maggiore godimento. Il massimo conoscitore dell'arte del sesso, incarnazione del seduttore (ritorna la volontà linguistica generatrice di Fellini) è in realtà un potenziale suicida, incapace di una vera relazione. La conoscenza razionale a cui riconduce il sentimento, l'eros, è la manifestazione più evidente della sua ossessione per la morte, thanatos. La meccanicità dell'approccio culmina nel godimento dell'unione con un'automa (anticipando di anni il problema sociologico di internet e la pornografia). Il finale, evidenzia il limite del film. L' Amarcord non è più una fluida rappresentazione della vita, ma il tentativo di cristallizzare il passato per sfuggire alla morte. Casanova, nel suo ricordo, si unisce alla danza della bambola, diviene anch'esso meccanismo senz'anima, si ipostatizza per sempre devitalizzandosi. Il cinema di Fellini, per la prima volta, cerca di divenire monumento: trova la morte nella sua bellezza.




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