sabato 8 febbraio 2014

Fellini Satyricon [Fellini Checklist 13/24]

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“Fellini Satyricon” è un film liberamente ispirato all'omonima opera di Petronio. Romanzo latino mai pervenuto nella sua completezza, formato su un pastiche di diversi generi e stili tendenti al parodistico e (appunto) al satirico, appassionò il regista per i due protagonisti che definì:
«Encolpio e Ascilto sono due studenti metà vitelloni, metà capelloni che passano da un'avventura all'altra, anche la più sciagurata, con l'innocente naturalezza e la splendida vitalità di due giovani animali.»
“Fellini Satyricon” viene dunque concepito dal regista come una sorta di “doppio” storicamente traslato de “La Dolce Vita”, si pone in linea di continuità contenutistica con esso, mettendo in scena attraverso una narrativa frammentata e surrealista la decadenza di una società. La poetica Felliniana nel contempo è vissuta di sperimentazioni (più o meno riuscite) che nei nove anni che separano l'uscita dei due film, hanno portato a una profonda estremizzazione del cinema del regista. Il risultato, quindi, non solo va ben oltre il già ostico surrealismo de “La Dolce Vita”, ma supera anche l'estetica barocca e grottesca de “Giulietta degli Spiriti”. “Fellini Satyricon” è l'ennesimo passo in avanti del regista che sembra non adagiarsi mai sulle conquiste, ma anzi non ha timore di aggiungere sempre nuovi strati di complessità alle sue produzioni.






Impenetrabile più che mai, Fellini costruisce la pellicola su un doppio rimando: la sua esperienza da una parte, il testo letterario dall'altro. Sebbene solo la cena di Trimalchione sia l'unico episodio rimasto invariato rispetto a Petronio, è proprio nel suo riferimento distorto che lo spettatore trova l'unico accesso possibile al film. L'intenzionalità denigratrice è infatti sepolta dall'estetica felliniana che rivendica un primato contenutistico. È l'immagine/cinema a parlare autonoma, questa la vera grandezza di Fellini: ogni singola inquadratura si eleva così tanto dalla ristrettezza della semplice forma da essere sussistente di per sé. La frammentarietà narrativa trova la giustificazione proprio in questa dirompenza formale. Il percorso che va da “Le Luci del Varietà” a “Fellini Satyricon” è quindi un viaggio verso la decostruzione del linguaggio e la sua successiva ricomposizione in immagine.







Il senso dunque non può più ritrovarsi, come in Petronio, nella satira sociale, ma nella sua messa in scena, nell'unicità compositiva propria del regista. Al di là della storia, quindi, non rimane che il gesto. L'unico elemento verbale che si imprime nella memoria dello spettatore è l'incessante e volgare risata che permea lo spettro sonoro di tutto il film. Il dialogo si disperde in una babelica confusione di lingue non comunicanti, ogni cosa si risolve nel volto trasfigurato di chi, senza pudore, ride dell'altro. Il Satyricon di Fellini, è un inno alla dissacrazione, al crollo, alla distruzione di ogni punto di riferimento. Ma è anche un invito al recupero di una tradizione in funzione di nuove possibilità. È come se il regista si ponesse alla fine della Storia e da la intuisse che l'esistenza umana attraversa ciclicamente sempre le stesse tappe, e tra Petronio e la contemporaneità c'è una separazione temporale: il declino è concettuale ed assoluto. L'innovazione quindi può arrivare solo da un cambio di sguardo, da una nuova visione del sempre uguale.
È nel finale che risiede l'ennesima dichiarazione di totale abbandono del regista verso (ed attraverso) il suo pubblico e la sua creazione: mitigato nel tempo e ricondotto al mito del reale, il testamento di Eumolpo, vero e proprio invito al cannibalismo, non è altro che lo splendido balletto finale di 8%12, dove opera e autore trovavano la loro verità in una mediazione totale. Encolpio rifiuta l'assunzione, e diviene storia: tutto il resto, è leggenda.







Tra attualità e mito, Fellini dimostra come il cinema possa essere interprete non solo del suo tempo, ma della vita stessa. Ciò che traduce, però, non è avvicinabile secondo i canoni di un'esperienza obiettiva e razionale. Realtà, sogno e tradizione si fondono ancora una volta nell'unicità di una visione senza tempo: il “Satyricon” di Fellini è la disgregazione della cultura occidentale al suo apice, un dissacrante funerale senza defunto.




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