venerdì 14 febbraio 2014

Prova d'Orchestra [Fellini Checklist 19/24]

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“Prova d'Orchestra” è l'ennesimo film da inserire nel filone delle “docufiction per la tv” che negli anni '70 (precisamente dal 69 con “Block-Notes di un regista” al 79, con “Prova d'Orchestra”) predomina all'interno della cinematografia di Fellini. Dalla lunghezza anomala, 70 minuti (poco più che un corto) è certamente un film atipico nella produzione del regista sia formalmente che contenutisticamente. Per capire la sua “diversità” è utile prendere due punti di riferimento. Da una parte c'è l'autore stesso che lo definì “un filmetto” dall'altra, una poi non così tanto obiettiva Wikipedia che, nella pagina dedicata al film, decide di scostarsi dal campo enciclopedico e si lancia in un'entusiastica analisi filmica che sa tanto di difesa e riscatto del testo cinematografico. A chi credere? Dove si può situare uno sguardo lucido? Intanto, il link:








Se la virtù sta nel mezzo, probabilmente ci si trova anche il valore effettivo di “Prova d'Orchestra”. Lungi dall'essere un filmetto, non è neanche un capolavoro. Sebbene l'intento comunicativo sia chiaro, manca quella affascinante semplicità che ha da sempre contraddistinto tutti gli sforzi di Fellini. La riflessione sull'arte va ben oltre la superficialità dell'attualità politica, ma non sembra liberarsene completamente. Quello che in "8½" era un mondo compiuto in se stesso, in “Prova d'Orchestra” è profondamente scisso. Non solo nella sua ricezione (autore/spettatore) ma nel suo intimo, nella sua essenza. Il pericolo di scendere così profondamente nell'attualità, nello spazio condiviso (politica dovrà pur significare qualcosa) è troppo persistente per essere interamente superato dalla riflessione metafisica e trascendentale sull'arte e sul processo creativo.







Il riferimento vivo al sociale/politico è una ferita troppo grande per essere rimarginata dall'Amarcord felliniano. Il film risulta quindi scisso, incompiuto, separato. Le intuizioni formali di messa in scena, i divertissement narrativi, lo sguardo inconfondibile del regista sono presenti (ma anche questa volta, Fellini si nega la corporalità e non si spinge oltre alla voce fuori campo) ma rimangono sospesi in un limbo di incompiutezza che cerca continuamente di rivendicare la sua unità. “Prova d'Orchestra” parla politicamente di un'arte che non avrà mai luogo, se non nella visione di Fellini. Il fallimento della ricongiunzione finale tra il direttore e la sua orchestra, mancanza di armonia, è allo stesso tempo la disfatta del film stesso: è l'arte a rivendicare la sua negatività, la sua riottosa autonomia. L'impossibilità di imbrigliarla nei confini del mondo.




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